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Questo titolo, in un certo senso paradossale, potrebbe costituire un’efficace definizione del concetto di “strategia”. Infatti, proprio quando non si possono risolvere problemi con comportamenti “di routine” emerge la necessità di mobilitare tutte le risorse disponibili, interne a sé e nel contesto in cui ci si trova ad operare.
Tutto non si può sapere o prevedere – il comportamento strategico è basato sulla scoperta di possibili nuovi comportamenti da mettere alla prova nella realtà – non solo pensando, ma, come vedremo, attivando le risorse della propria persona “globale”.
Un curricolo plurilingue offre una serie di potenzialità non disgiunte da criticità e condizionamenti. La prima percezione di allievi e genitori (ma anche di insegnanti) è basata spesso sull’equazione: più lingue = più “materie”. Non di rado più lingue significa innanzitutto, a livello di “curricolo esplicito” (cioè di quadri orari, programmi, sillabi) più spazi orari, spesso ridotti e parcellizzati. Nel contempo, si percepisce la necessità di un’economia di tempi, spazi, risorse umane e materiali: la necessità di un’”ecologia” degli apprendimenti a scuola. Questo implica un’esigenza di integrazione delle progettazioni disciplinari e di coordinamento tra insegnanti dell’area linguistica – esigenze d’altronde sempre esistite, sia pure nelle forme a volte più superficiali (come quando l’insegnante di lingua straniera chiedeva alla sua collega di lettere di “farle i pronomi personali in IA”, perché la settimana dopo li avrebbe fatti lei in inglese o francese …).
Ma se dal livello dell’insegnamento passiamo al livello dell’apprendimento, ci viene spontaneo porci alcune domande fondamentali.
La competenza plurilingue (si veda in proposito il Quadro Comune Europeo, versione italiana, a pagg. 5, 7, 55, 164-166, 205, 206, 207, 215) è
Comunicativa e orientata all’azione;
Interculturale: la lingua non è solamente un aspetto essenziale della cultura, è anche uno strumento che permette di accedere alle espressioni della cultura (Quadro, pag. 7).
La L1, come base di partenza di ogni apprendimento linguistico, non cessa mai di essere tale, e diventa parte di questa competenza.
Apprendere più lingue equivale a sviluppare più competenze o più competenza? Partiamo dalle “immagini mentali” che le persone si costruiscono nel tempo riguardo ad un curricolo in cui coesistono più lingue. Una prima immagine potrebbe essere quella in cui ogni nuova lingua oggetto di apprendimento si innesta sulla precedente o sulle precedenti.
Una seconda immagine considera le esperienze di apprendimento di due o più lingue come contemporanee, come se procedessero su binari paralleli ma proprio per questo sempre separati.
Una terza immagine considera l’apprendimento come un’alternanza di lingue, come se la lingua precedente si esaurisse in quella successiva.
In tutte queste immagini l’idea comune è quella del multilinguismo: si imparano più lingue, ma di fatto ognuna con un ruolo e uno status indipendente.
Parlare invece di plurilinguismo non significa giocare con le parole. Il plurilinguismo ci suggerisce un’altra immagine, in cui le diverse lingue e le diverse culture si integrano, interagiscono, vengono a formare una competenza unica, certamente complessa – è una competenza in cui le competenze nelle singole lingue entrano in rapporti reciproci e si arricchiscono continuamente. Questo è il concetto di competenza comunicativa plurilingue e pluriculturale, una competenza che cambia, si evolve, man mano che la persona fa esperienza di nuove lingue e di nuove culture.
Ma come si può spiegare e giustificare questa immagine? Una metafora utile è quella dell’’iceberg, che in superficie mostra manifestazioni diverse in lingue diverse, mentre in profondità è possibile intravedere fattori comuni. Ad esempio, i connettivi, che assumono forme superficiali diverse da lingua a lingua, svolgono un ruolo profondo condiviso, in quanto indicatori di discorso - come dei cartelli stradali che ci aiutano a percorrere il testo e ci aiutano a riconoscere relazione logiche in una frase (come causa/effetto, contrasto, scopo, sequenze di tempo).
Anche espressioni apparentemente molto diverse dal punto di vista sintattico condividono una funzione profonda comune: ad esempio, quella di aiutare il parlante ad “aggiustare il messaggio”, cioè a trovare forme compensative quando la propria competenza linguistico-comunicativa non è all’altezza dei significati che si vorrebbero esprimere.
E per fare un altro esempio, il fenomeno della pre- o post-modificazione, che in superficie funziona in modo diverso nelle varie lingue (verso sinistra in inglese e in tedesco, ma verso destra in italiano: gli orari di partenza dei treni, il codice della strada) fornisce soluzioni diverse ad uno stesso fenomeno profondo, la necessità di determinare significati attraverso l’ordine delle parole.
In profondità ritroviamo dunque un sistema di funzionamento comune alle varie lingue, per somiglianza o anche per opposizione - il “generale” della lingua (fr. langage) – mentre gli elementi in superficie costituiscono realizzazioni specifiche di ogni lingua (fr. langues).
Un principio fondamentale è che, attraverso la manipolazione degli elementi di superficie, noi interveniamo anche in profondità. In questo senso lo sviluppo delle competenze nelle singole lingue comporta una continua ristrutturazione della competenza profonda, che è la competenza comunicativa plurilingue.
Ed è questo il “valore aggiunto” di un curricolo plurilingue – ben più della semplice somma delle parti.
Questo ci porta a pensare a che cosa succede sotto la linea di superficie, a considerare i movimenti e le trasformazioni che avvengono dentro l’iceberg – a distinguere cioè le realizzazioni, gli esiti delle singole lingue (i prodotti) rispetto ai processi di apprendimento linguistico.
Dentro l’iceberg avvengono processi di integrazione, di ristrutturazione, di trasferimento tra lingue. Ci chiediamo a questo punto:
che cosa più esattamente viene integrato, ristrutturato, trasferito?
quali condizioni facilitano questi processi?
A loro volta, le indicazioni metodologiche dovranno riguardare
che cosa può fare l’insegnante (strategie di insegnamento)
che cosa può fare l’allievo (strategie di apprendimento)
o, meglio ancora, come può l’insegnante guidare l’allievo a scoprire, sperimentare e via via, gradatamente, usare le sue strategie in modo sempre più autonomo.
Che cosa viene trasferito?
Per fare un esempio, nell’attività comunicativa di ricezione della lingua scritta (lettura) incoraggiamo spesso gli allievi a dedurre il significato di parole sconosciute utilizzando tutti gli indizi che può dare il testo: ad esempio, sfruttando i modi in cui sono costruite le parole, i prefissi e i suffissi. Notiamo innanzitutto che per fare questo occorre sapere che esistono radici, prefissi, suffissi; sapere a che cosa servono, sapere in che modo le parole vengono modificate: noi, per esempio, sappiamo che i prefissi servono per cambiare il significato delle parole, mentre i suffissi servono anche a segnalare le forme, cioè hanno un ruolo grammaticale.
Dunque abbiamo, per cominciare, delle conoscenze, un sapere – per essere più precisi e “tecnici”, abbiamo delle conoscenze dichiarative sulla lingua, su come funziona, su come la lingua serve per comunicare significati.
Questa conoscenza potrebbe rimanere molto teorica e astratta se non sapessimo che farne, cioè se non sapessimo che questi prefissi e suffissi possono essere usati per capire meglio le parole, e in particolare per dedurre il significato di una parola che non abbiamo mai visto prima guardando al modo in cui la parola è fatta.
Abbiamo dunque anche una conoscenza del fatto che ci sono modi per mettere a frutto questi elementi della lingua – cioè sappiamo che questi elementi possono diventare strategici, possono fare da base ad una strategia per risolvere il problema di una parola sconosciuta – in termini tecnici, abbiamo delle conoscenze procedurali, un altro tipo di sapere.
Dobbiamo poi essere in grado di utilizzare concretamente queste conoscenze: nel momento in cui ci mettiamo a leggere un testo, dobbiamo essere in grado di riconoscere prefissi e suffissi, dobbiamo essere capaci di ricordare il loro valore per sapere poi fare un’ipotesi sul significato della parola sconosciuta.
Se sappiamo fare questo, vuol dire che possediamo un’abilità, un saper fare, una capacità di mettere a frutto delle conoscenze (potremmo dire, con un termine in voga, un know-how).
Ma ci basta questo? Forse no. Per poter usare le conoscenze sotto forma di strategie dobbiamo anche essere convinti che sia possibile indovinare il significato di parole sconosciute, che cioè leggere non consiste nell’aspettare che tutto si chiarisca da sé, ma che, al contrario, il lettore deve fare la sua parte e può fare la sua parte – in altre parole, dobbiamo essere convinti che il significato si può ricostruire facendo e verificando ipotesi e dobbiamo essere disponibili a fare tutto questo
Alla base di un utilizzo di conoscenze e abilità c’è una dimensione più profonda, nascosta, che è quella delle convinzioni e degli atteggiamenti, la dimensione che ha anche a che fare con le proprie motivazioni, la propria disponibilità a imparare, a usare strategie, a essere protagonista attivo del proprio apprendimento. Si tratta della dimensione del saper essere, che è una dimensione individuale, profondamente ancorata ai valori e alle caratteristiche della propria personalità.
Siamo ora in grado di specificare meglio che cosa effettivamente viene trasferito, integrato, ristrutturato nella competenza plurilingue man mano che procedono gli apprendimenti di più lingue: conoscenze, abilità, convinzioni e atteggiamenti – un’interazione che possiamo sintetizzare nell’acronimo KAKA – mettendo in moto questo meccanismo noi creiamo qualcosa di più della somma delle parti: il sapere, saper fare e saper essere creano una nuova competenza, che è quella del saper apprendere.
Chiarito il che cosa, possiamo ora affrontare il problema del come.
Quali condizioni facilitano questo transfer? Questi processi non sono automatici? La nostra esperienza come insegnanti di lingue ci suggerisce molta prudenza nel rispondere a domande come queste. Quello che possiamo dire con certezza è solo una cosa: che esiste una grande variabilità individuale al riguardo. Attitudini, stili di apprendimento, configurazioni di intelligenze diverse rendono unici gli individui, e unici i modi in cui, per esempio, si attiva una competenza come quella del saper apprendere, dell’imparare a imparare. Una cosa possiamo invece dire per certo: la scuola, come luogo di apprendimento istituzionale, organizzato, consapevole, deve poter garantire a tutti, al di là delle differenze individuali, quante più opportunità possibile di sviluppare questa competenza. L’alternativa all’automatismo dei processi sta in una parola-chiave: la consapevolezza. Consapevolezza vuol dire scendere all’interno dell’iceberg e riportare alla superficie ciò che vi è nascosto, giocare a carte scoperte, o, continuando in questa metafora, scoprire le regole del gioco. Consapevolezza implica fare cose con le lingue, ma anche riflettere su quello che si è fatto; significa imparare a usare le lingue, ma anche sfruttare questi usi concreti per diventare persone che sanno meglio imparare le lingue. Questo ci porta a dire subito una cosa importante: si diventa consapevoli mentre si usano le lingue, non parlando in astratto delle lingue; si attiva la consapevolezza in concreto, mentre si eseguono i compiti di apprendimento in cui noi quotidianamente cerchiamo di coinvolgere i nostri allievi. Perciò diventa importante mettere a fuoco proprio cosa succede mentre i nostri alunni, sotto la nostra guida, con il nostro sostegno, eseguono compiti di lettura, di scrittura, di ascolto, di parlato, di interazione orale.
Riflettiamo su quelle che possiamo considerare le condizioni-base per il trasferimento tra le lingue.
La prima condizione per facilitare il trasferimento è l’esperienza: occorre innanzitutto lavorare sul contesto concreto di un compito. Ad esempio, tornando al nostro compito di lettura, la base su cui lavoriamo è l’esperienza di leggere un certo tipo di testo, per un certo scopo, in un contesto che abbiamo ben chiaro, noi e i nostri allievi. Possiamo per esempio porre i nostri allievi in una situazione di questo tipo:
abbiamo qui un articolo di cronaca da un giornale, chiamiamolo PINCO PALLINO - vogliamo capire le informazioni più importanti, per esempio chi ha fatto che cosa, dove, quando e perché
ci sono probabilmente tante parole che non conosciamo
tanto per cominciare, abbiamo bisogno di capire tutto, o ci sono parole che possiamo anche tralasciare, dato che il nostro scopo non è, in fondo, di capire proprio tutte le cose che sono scritte?
e allora quali sono le parole che ci sembra proprio indispensabile capire, perché altrimenti non riusciamo a raggiungere il nostro scopo?
proviamo a indovinare il significato di queste parole nuove o sconosciute. Come? Proviamo a vedere
come sono fatte queste parole, se sono fatte di pezzi di parole che già conosciamo …
che posizione occupano queste parole nella frase: scopriamo che una certa parola deve essere un verbo, un’altra un aggettivo …
vediamo se ci possono aiutare le parole che vengono prima o dopo …
Così facciamo delle ipotesi, e poi vediamo se andando avanti a leggere abbiamo indovinato oppure se dobbiamo tornare indietro e fare un’altra ipotesi: usiamo quelle che possiamo definire “le strategie di Sherlock Holmes”.
La seconda condizione per facilitare il trasferimento è la riflessione. E’ nel contesto del compito, prima, durante e dopo la sua esecuzione, che possono trovar posto momenti di riflessione. Che cosa significa riflessione in questo contesto? Significa distacco dal compito, presa di distanza da quello che stiamo facendo o abbiamo appena fatto, per poter andare al di là della singola esperienza concreta e cominciare a vedere in che modo la cosa che ho fatto oggi, su questo compito, può essermi utile anche domani, su un altro compito. E’ qui che dalla superficie dell’iceberg cominciamo a scendere in profondità.
Torniamo al nostro esempio del compito di lettura. Una volta che abbiamo risolto il nostro problema su PINCO PALLINO e abbiamo trovato le informazioni che cercavamo, pensiamo un momento a come abbiamo fatto. Che problemi avevamo, che parole ci avevano fermato? Che cosa ci ha aiutato ad andare avanti fino alla fine?
il modo in cui sono costruite le parole? Allora vediamo un po’ cosa sono i prefissi e i suffissi, e a che cosa possono servire …
il guardare con attenzione a tutta la frase, e magari anche alle frasi che seguono? Allora chiamiamo questo l’aiuto del contesto
oppure ci ha aiutato quello che sapevamo sull’argomento? Allora chiamiamo questo le nostre pre-conoscenze
e ancora, abbiamo trovato altri modi per affrontare il problema? Per esempio? Abbiamo magari chiesto all’insegnante, parlato con i compagni, usato un dizionario?
e infine, come si siamo sentiti durante questo lavoro? Ci siamo spazientiti, ci siamo scoraggiati, ci siamo magari fatti prendere dall’ansia? Oppure qualcosa ci ha aiutato anche in questo? Che cosa, per esempio? Il fatto di sapere che non dovevamo capire tutto? Il fatto di sapere che cosa dovevamo cercare? Il fatto di poter contare sull’aiuto dei nostri compagni e dell’insegnante?
Vedete che in questo modo è l’insieme di quello che abbiamo chiamato KAKA che viene messo in moto: le tre ruote delle conoscenze, delle abilità e delle convinzioni/atteggiamenti, che cominciano a girare tramite un lavoro di riflessione e di presa di coscienza. Non sottovalutiamo le operazioni mentali che con questo lavoro di consapevolezza abbiamo messo in atto: abbiamo stimolato
strategie cognitive: di associazione tra il vecchio e il nuovo, di deduzione o inferenza, di formulazione e verifica di ipotesi, di scoperta e classificazione di regolarità linguistiche;
strategie metacognitive: di pianificazione, controllo e valutazione del compito;
ma anche strategie socio-affettive: di riconoscimento delle proprie emozioni, di ricorso agli altri per dare e ricevere supporto …
Abbiamo così posto la prima pietra del trasferimento: andando al di là del singolo compito, abbiamo generalizzato i risultati di questo compito costruendo delle immagini consapevoli: il concetto di prefisso e suffisso, il concetto di contesto, il concetto di pre-conoscenze, insieme a quelle che abbiamo chiamato “le strategie di Sherlock Holmes” - usare gli indizi per chiarire il mistero … notate che stiamo parlando non degli elementi di superficie del nostro iceberg, ma della struttura profonda, del sistema di funzionamento delle lingue e non di una singola lingua. Questo è fondamentale per passare al momento successivo.
La terza condizione per facilitare il trasferimento è la riattivazione: in successivi compiti i nostri allievi devono poter riconoscere che hanno di fronte compiti simili a quello che hanno già eseguito con successo, cioè che si rendano conto delle somiglianze e delle analogie, ma se è necessario anche delle differenze, rispetto alle esperienze precedenti. Vedete che ancora una volta è necessario focalizzarci sui compiti e le loro caratteristiche. Ma questa volta non partiamo dallo stesso punto – questa volta possiamo contare sull’esperienza precedente, sulla consapevolezza, sulla presenza di concetti e immagini mentali. E in effetti che cosa è il trasferimento, se non l’applicazione di pre-conoscenze a nuove situazioni, o, se volete, l’interazione tra pre-conoscenze, nuovi dati e i propri scopi in un compito, cioè in un problema da risolvere? Nel nostro caso, un compito di lettura, porteremo dunque i nostri allievi a fare considerazioni di questo tipo:
questa volta leggiamo la recensione di un film, chiamiamola TIZIO CAIO E SEMPRONIO, per capire se ci piacerebbe andarlo a vedere. Che informazioni abbiamo bisogno di capire?
ricordate che problemi avevamo incontrato quando abbiamo letto l’articolo di PINCO PALLINO? Come li avevamo affrontati? Per esempio, come ci eravamo regolati per superare l’ostacolo delle parole nuove o sconosciute?
ricordate come si chiamavano le strategie che avevamo usato per leggere PINCO PALLINO? Sherlock Holmes?
Cosa fa chi usa le strategie di Sherlock Holmes?
Proviamo ad usare queste strategie anche nel caso di TIZIO CAIO E SEMPRONIO – non è detto che funzionino proprio allo stesso modo, ma proviamo … e poi vediamo se per caso questa volta abbiamo incontrato problemi nuovi, se le strategie hanno funzionato ancora o se abbiamo dovuto fare dell’altro per risolverli …
Si intuisce che un elemento cruciale è che questo richiamo di pre-conoscenze ed esperienze non è legato necessariamente alla lingua della prima esperienza. Se il lavoro su PINCO PALLINO era stato fatto in tedesco, il lavoro su TIZIO CAIO E SEMPRONIO può benissimo essere fatto in francese o in inglese – noi non vogliamo e non possiamo dimenticare le importanti differenze tra le lingue, ma vogliamo puntare molto sui concetti profondi del sistema KAKA. Noi vogliamo invitare i nostri allievi ad applicare queste strutture profonde a nuovi contesti, naturalmente non “alla cieca”, ma mettendoli in condizione di chiedersi se i KAKA precedenti sono applicabili, cioè appropriati, e fino a che punto, anche alle nuove esperienze.
Queste tre condizioni sono il fondamento del trasferimento. Naturalmente le operazioni che abbiamo descritto, di ESPERIENZA-RIFLESSIONE-RIATTIVAZIONE andranno ripetute più volte, in più occasioni, in compiti vari e diversi, sempre più complessi e in diverse lingue. Gli allievi avranno bisogno di essere sostenuti in questo loro percorso graduale, noi avremo bisogno di costruire attorno a loro una specie di impalcatura, che poi a poco a poco toglieremo, man mano che sapranno procedere da soli. In pratica ciò vuol dire che la consapevolezza andrà stimolata in modo sempre meno invasivo: a volte basterà un richiamo, anche solo qualche parola che faccia scattare il ricordo delle esperienze passate e l’applicazione ai nuovi compiti. Vorremmo insomma che i nostri allievi si appropriassero di strategie di apprendimento, che queste strategie diventassero man mano sempre più le loro strategie – il che significa puntare sulla loro progressiva autonomia.
Il percorso che abbiamo delineato è una strada innovativa e impegnativa, una strada che però vale la pena di esplorare, specialmente nei momenti di radicale rinnovamento dei curricoli. Non ci nascondiamo che lavorare per un curricolo plurilingue, così come lo abbiamo delineato, implica alcune importanti scelte di fondo, che devono essere prese e vissute in modo molto consapevole. In primo luogo, il curricolo plurilingue non serve solo a imparare separatamente più lingue, ma serve anche, e forse soprattutto, a imparare come si imparano le lingue, a scuola e per tutta la vita.
In secondo luogo, questo deve diventare un obiettivo esplicito, riconosciuto e condiviso dalla comunità scolastica. Questo obiettivo presuppone una disponibilità a lavorare tra colleghi all’interno della comune area linguistica, esplorando e mettendo in comune, proprio come vogliamo fare con i nostri allievi, il nostro sistema KAKA – cioè non solo le nostre conoscenze, ma anche le nostre abilità, le nostre convinzioni, i nostri atteggiamenti di insegnanti. E infine, un obiettivo ambizioso come questo deve potersi incarnare in esperienze concrete, che però, nel loro piccolo, conservino una visione ampia e di largo respiro. E’ nei compiti di apprendimento quotidiani, in ciò che facciamo tutti i giorni con i nostri allievi, che si devono realizzare le nostre sfide più ambiziose.
Come dice un famoso slogan: THINK GLOBALLY – ACT LOCALLY - pensa in grande, lavora nel piccolo.