LE ABILITÀ DI STUDIO:

    UNA PROSPETTIVA TRANSDISCIPLINARE

     

    Luciano Mariani

    (Lingua e Nuova Didattica, Anno XVII, No. 3, 1988)

     

     

    Premessa

     

    Chi opera nel mondo della scuola ritiene spesso, anche se non dichiara esplicitamente, che il “lavoro” dello studente richieda una serie di abilità specifiche, distribuite su una gamma molto estesa: da capacità “pratiche”, come il saper tenere un diario od organizzare efficacemente il proprio quaderno, a capacità più “accademiche”, che implicano strumenti concettuali o operazioni cognitive complesse, come il saper studiare un libro di testo prendendo appunti. Che si tratti di “modi di fare” o di “modi di pensare”, si sottolinea comunque il carattere operativo di queste abilità: si tratta infatti in ogni caso di capacità che permettono allo studente di far fronte in modo positivo ai compiti che la scuola inevitabilmente richiede.

    Generalmente si ritiene che queste abilità siano non solo necessarie, ma anche indispensabili. Spesso se ne discute quando ci si trova a constatarne la mancanza o la carenza (in occasione, ad esempio, di operazioni di valutazione). Altrettanto frequentemente si riconosce che si tratta di abilità di carattere trasversale, in quanto sembrano attraversare il curricolo al di là e al di sopra dei compartimenti stagni delle singole discipline.

    Nonostante questa relativa, anche se a volte superficiale, consapevolezza di un problema legato alle «abilità di studio», lo status di queste abilità rimane, nella nostra situazione scolastica, paradossale, e per diversi motivi.

    In primo luogo, la responsabilità per lo sviluppo di queste capacità viene spesso spostata «all’interno», cioè verso il livello scolastico precedente: accade così che, particolarmente negli stadi di passaggio da un ordine di scuola a quello superiore, si lamenti la scarsa produttività del livello immediatamente precedente. La responsabilità viene altrettanto spesso, e volentieri, delegata ad “altri” nel curricolo, in particolare agli insegnanti di materie “umanistiche” o “accademiche” che tradizionalmente sarebbero deputati a prendersi cura di questo aspetto della vita scolastica. Questa delega di responsabilità non è che una faccia di un problema più generale, e cioè la mancanza di programmazione, sia in verticale (tra ordini di scuola) sia in orizzontale (tra gli insegnanti di un consiglio di classe).

    Un secondo paradosso che caratterizza lo status attuale delle abilità di studio nella nostra scuola è la convinzione, radicata anche se non sempre esplicitamente dichiarata, che queste capacità costituiscano un prodotto “naturale” e automatico del frequentare una scuola per un certo numero di anni. Se ciò può apparire vero per alcuni studenti (probabilmente coloro che otterrebbero comunque un risultato positivo, grazie anche e soprattutto all’ambiente socioculturale di provenienza), non è sicuramente vero per la grande fascia di studenti che mostrano chiare difficoltà nel “produrre” a scuola, e che per questo vengono a volte addirittura emarginati dal sistema scolastico.

    Un terzo paradosso è costituito dal fatto che, mentre le abilità di studio vengono sempre richieste dagli insegnanti, in modo più o meno esplicito, nel momento in cui vengono proposti compiti di apprendimento, raramente queste stesse abilità vengono insegnate, o comunque fatte oggetto di un’attenzione non episodica od occasionale. Non fa parte della nostra tradizione scolastica e culturale l’includere in un curricolo, in modo esplicito, specifico e sistematico, l’addestramento a come si fa a studiare. Capita così che, di fronte a richieste a volte molto dirette e precise da parte degli utenti (studenti e genitori) riguardo ai modi di migliorare il proprio apprendimento, si risponda in modo generico, e qualche volta semplicemente moralistico (.devi studiare di più», «deve migliorare il proprio metodo di studio»).

    All’interno di questa situazione, occorre però riconoscere che il problema pedagogico e didattico posto dallo sviluppo di adeguate abilità di studio non è questione di facile o rapida soluzione, trattandosi forse del problema di fondo di qualsiasi intervento educativo. Poiché non sappiamo in che modo una persona impari, ma procediamo per ipotesi e modelli, la messa a punto di strategie per imparare ad imparare risulta doppiamente difficile: e in questo senso si spiega, anche se forse non si giustifica, la riluttanza di molte situazioni educative ad affrontare direttamente il problema.

    In questo articolo vorrei sottoporre alla discussione alcuni elementi che possano servire ad affrontare il problema delle abilità di studio in un’ottica il più possibile “transdisciplinare”, trasversale dunque rispetto alle materie in cui si articola un curricolo.

    In primo luogo, cercherò di precisare meglio il contenuto del termine “abilità di studio”. Proverò poi a rispondere ad alcune obiezioni di fondo sull’opportunità e la possibilità di realizzare una strategia globale per le abilità di studio. Proporrò quindi uno schema di itinerario di ricerca, articolato essenzialmente sull’identificazione e l’analisi delle abilità. Concluderò illustrando alcuni criteri per lo sviluppo di materiali e attività didattiche.

     

    Il concetto di “abilità di studio”

     

    Credo sia necessario approfondire il significato del termine “abilità di studio” per tre ragioni principali:

    a) per eliminare immagini generiche quanto fumose come quella del “metodo di studio ideale”, che comprenderebbe tutte le possibili capacità e qualità di un ipotetico studente perfetto;

    b) per superare formulazioni teoriche interessanti ma scarsamente produttive sul lato applicativo. Ad esempio, affermare che le abilità di studio si riferiscono a quelle capacità inerenti l’acquisizione e l’uso di informazioni nei processi di apprendimento è certamente una definizione esaustiva, ma difficile da riportare poi alla concreta prassi quotidiana. Ciò di cui abbiamo bisogno è, come vedremo più avanti, una mappa generale di esigenze di studio che siano effettivamente attestate nel concreto delle nostre situazioni educative;

    c) per ampliare l’orizzonte dei nostri interventi, non restringendolo soltanto ad una serie di tecniche, per quanto utili ed efficaci.  Il termine «abilità di studio» rimanda immediatamente a pratiche frequenti come il saper consultare un dizionario, il saper interpretare e costruire un grafico, il saper riassumere un testo ecc. Esiste al proposito un’ abbondante letteratura didattica, proveniente in particolare dai paesi anglosassoni, dove queste abilità sono spesso fatte oggetto di attenzione specifica. È ovvio che la padronanza di tecniche e strumenti, sia di carattere disciplinare che di tipo trasversale, sia una componente essenziale di un’abilità di studio; tuttavia, credò che sarebbe illusorio sperare di risolvere una problematica complessa e articolata, come quella più sopra abbozzata, con il semplice ricorso a pratiche tecniche, sia pure di grande utilità.

    Ritengo che un concetto come quello di “abilità di studio” comprenda invece più dimensioni tra loro interagenti:

     

     

    Capacità operative

     

     

    Atteggiamenti nei confronti dell'apprendimento

     

    Abitudini di lavoro

     

    Questo schema ci permette di distinguere, innanzitutto, delle capacità operative, che comprenderanno delle operazioni cognitive espresse tramite l’uso di mediatori tecnici. Il saper rielaborare un testo dopo averlo letto, ad esempio, presuppone la messa in opera di operazioni cognitive quali il selezionare e riorganizzare le informazioni producendo una sintesi, ma anche l’utilizzo concreto di un’adeguata strumentazione tecnica che faccia da supporto alle operazioni della mente (ad es., la conoscenza e l’uso di schemi, diagrammi, grafici; di simboli, sigle ed abbreviazioni; di modi per omettere parole o condensare frasi; dei meccanismi di coesione lessicale e grammaticale per produrre un testo di sintesi lineare come il riassunto ecc.).

    Un’altra componente essenziale di un’abilità di studio sarà però l’abitudine all’uso dell’abilità, ossia la pratica concreta dell’abilità stessa nelle effettive situazioni di lavoro. Poiché si tratta di abilità trasversali, quanto più l’utilizzo concreto si estenderà a più ambiti disciplinari, tanto più l’abilità diverrà parte integrante di un metodo di lavoro.

    La messa in opera di un’abilità di studio dipende infine dal sistema di atteggiamenti e valori con cui lo studente si pone in relazione con la scuola. Mi riferisco qui al complesso problema della motivazione, ed in particolare alla disponibilità, da parte dello studente, a considerare utili e significative le esperienze di apprendimento proposte dalla scuola.

    Le conseguenze di questa interpretazione del concetto di “abilità di studio” sono molteplici, e tutte di grande rilevanza applicativa:

  • un programma di abilità di studio non può essere ridotto ad un semplice elenco di ‘tecniche” atte a migliorare la produttività scolastica. E’ presumibile che una maggiore familiarità con valide e sperimentate tecniche di studio apporti benefici anche nell’ambito di una singola materia; tuttavia, il carattere “trasversale” di molte abilità, se da una parte consente il trasferimento di conoscenze e competenze da una disciplina ad un’altra, dall’altra parte richiede e presuppone un più vasto piano d’azione, un approccio pedagogico-formativo globale, dunque interventi di tipo trasversale;
  • per converso, però, queste “abilità di studio” non possono essere esercitate in un “vuoto” disciplinare: la trasversalità di conoscenze e competenze, per attualizzarsi, deve essere calata nella pratica effettiva delle singole discipline, in modo tale che lo studente ne possa constatare la rilevanza e l’utilità. In tal modo i “contenuti” disciplinari, lungi dal venire penalizzati da un programma asettico di “strategie di apprendimento”, costituirebbero il campo effettivo di applicazione di un metodo di lavoro;
  • se è importante la disponibilità dello studente, è altrettanto necessaria, da parte dell’istituzione, un’atmosfera di lavoro che, piuttosto che una piatta trasmissione unidirezionale di contenuti, privilegi la rielaborazione autonoma attraverso una varietà di esperienze di apprendimento continuamente discusse e verificate;
  • in un’ottica di questo tipo, l’obiettivo educativo generale diventa la promozione della responsabiizzazione, dell’autonomia, dell’organizzazione individuale da parte dei singoli studenti e dei relativi gruppi-classe.

     

    Alcune obiezioni di fondo

     

    La prospettiva illustrata nella sezione precedente non è nuova, anzi costituisce un tema ricorrente di discussioni e anche di polemiche tra gli operatori della scuola. Spesso una programmazione «per abilità» (con o senza l’etichetta “di studio”) viene contestata con alcune obiezioni che vale la pena di approfondire perché rimandano a problemi reali e raramente avviati a soluzione.

    1. Una programmazione che voglia favorire l’autonomia personale dello studente si scontra inevitabilmente con un contrasto insanabile: se infatti le “strategie di apprendimento” sono peculiari a ogni individuo, quale potrà essere il ruolo della scuola, che lavora generalmente su “grandi numeri”?

    Se accettiamo l’ipotesi che una metodologia di lavoro è il risultato di un lento, graduale e spesso sofferto processo di scoperta e di maturazione individuali, il ruolo della scuola, più che nel fornire una gamma, anche vasta, di soluzioni predeterminate, potrà consistere soprattutto nel fornire occasioni di esperienze di modi di apprendere, favorendo la messa in opera, il confronto e la scelta tra strategie diverse e alternative. Questo principio non è senza conseguenze per la realizzazione di materiali ed attività (vedi l’ultima sezione).

    2. Il lavoro comunitario non richiede una serie di modelli e strategie standardizzate, che fungano anche da sicuro punto di riferimento, in particolare per studenti adolescenti?

    L’esperienza ci dice che è la sensibilità dell’insegnante a determinare, a seconda dell’età e del livello cognitivo/affettivo raggiunto dalla propria classe, il grado di “standardizzazione” dei procedimenti di apprendimento presentati agli studenti. Mentre determinati momenti della vita scolastica possono suggerire l’adozione di soluzioni predeterminate (anche se non per questo necessariamente “imposte”), la dinamica stessa della classe, costituita sempre da individui in costante maturazione, consente una graduale introduzione di esperienze di scelta personale di strategie di lavoro (purché questa introduzione sia parte integrante degli obiettivi educativi esplicitamente perseguiti).

    3. Le “abilità dl studio” non sono spesso già intuitivamente possedute dal nostri studenti? Non si rischia, in altre parole, di insegnare l’ovvio (con relativa dispersione di tempo ed energie per tutti)?

    A questa obiezione abbiamo in parte già risposto, postulando che un metodo di lavoro non è, o comunque non è sempre e per tutti, un’acquisizione spontanea e naturale. Ma l’obiezione è fondata se si riferisce alla necessità di una valutazione concreta delle situazioni di partenza delle singole classi, condizione d’altronde necessaria in ogni processo di programmazione. Si tratta in effetti di stabilire se una determinata gamma di abilità di studio debba essere considerata come prerequisito, quindi già posseduta dagli studenti, o piuttosto come obiettivo da fare oggetto di intervento didattico. La frequente compresenza nelle classi di individui a livelli diversi di maturazione e consapevolezza rimanda, inoltre, alla problematica dell’individualizzazione dell’apprendimento, con logiche implicazioni importanti per la realizzazione di materiali e attività.

    4. Le “abilità di studio” non sono, di fatto, abilità più o meno strettamente linguistiche (e, come tali, di competenza più che altro dell’insegnante di Italiano, o, al massimo, di lingua straniera)?

    Se esaminiamo, anche superficialmente, la gamma di abilità coinvolte nella definizione di un metodo di lavoro, ci rendiamo subito conto della presenza di linguaggi diversi (grafico-visivi, matematico-informatici...), e di abilità pratiche e capacità organizzative generali che implicano obiettivi cognitivi/affettivi e conoscenze/competenze di portata più vasta del settore linguistico, con il corollario che discipline diverse possono e devono portare contributi anche molto specifici. E vero, tuttavia, che il linguaggio verbale rimane centrale nell’acquisizione e nell’uso di informazioni per l’apprendimento. Se è lecito attendersi dagli insegnanti di educazione linguistica, più che da chiunque altro, una competenza tecnica o specialistica più precisa, è pur vero che rimane compito di tutti gli insegnanti trasferire, applicare e attualizzare le competenze linguistico-comunicative all’interno e secondo le modalità dei propri specifici campi disciplinari (si pensi all’area lettura-studio dei libri di testo).

    5. La cronica mancanza di tempi, spazi, risorse umane e materiali non rende di fatto inattuabile una programmazione «per abilità», specialmente laddove essa si ponga in contrasto o in alternativa allo svolgimento del «programma» di contenuti disciplinari?

    L’obiezione è importante perché evidenzia, al di là delle carenze strutturali del nostro sistema scolastico, la preoccupazione, da parte degli operatori, di non aumentare ulteriormente la complessità e la dispersione della propria attività. Ogni proposta innovativa, da questo punto di vista, deve tendere alla massima semplicità ed “economia” possibili.

    Ritengo che per rispondere a questa obiezione si debbano tenere presenti alcuni principi:

  • le caratteristiche delle singole classi, ad esempio il “peso relativo” che l’acquisizione di specifici contenuti disciplinari possiede nelle diverse situazioni (si pensi alla differenza tra biennio e triennio superiore);
  • la necessità, proprio per ottimizzare gli investimenti di tempo ed energie, di evidenziare le esigenze più urgenti nelle specifiche situazioni: si tratta in altre parole di fare una scelta motivata di priorità, rinunciando magari a progetti ambiziosi per concentrarsi su aree di maggiore rilevanza e urgenza;
  • la ricerca di modi concreti ed efficaci, da una parte, di calare lo sviluppo di abilità di studio all’interno del proprio “programma” di lavoro (integrazione), e dall’altra parte, di condividere le responsabilità in modo il più possibile “collegiale” (transdisciplinarità). Proprio da queste esigenze di fondo parte la proposta di itinerario di ricerca che verrà illustrata nella sezione successiva.

     

    Una proposta di itinerario metodologico

     

    Un piano di lavoro che si proponesse di rendere più esplicito, sistematico e specifico lo sviluppo di “abilità di studio” all’interno di un curricolo potrebbe passare per le seguenti fasi:

    1.identificare, a grandi linee, le abilità tipiche e/o necessarie in ogni contesto disciplinare;

    2.se possibile, confrontare le “mappe” di abilità così ottenute tra colleghi di discipline diverse; stabilire comunque le priorità di intervento nelle specifiche situazioni;

    3.analizzare la/le abilità scelta/e in modo da individuarne le componenti operative;

    4.sviluppare materiali e attività disciplinari (“integrazione nel proprio programma”); se possibile, verificare i punti di contatto trasversali e sviluppare materiali e attività paralleli (“intervento transdisciplinare”).

    Come si vede, per rimanere nel concreto delle nostre situazioni scolastiche, si propone, all’interno di questo piano di lavoro, un itinerario “forte” (caratterizzato da una collaborazione tra colleghi di discipline diverse), e un itinerario “debole” (basato essenzialmente su un lavoro disciplinare). Anche se la prospettiva trasversale rimane decisiva nell’approccio sin qui illustrato, mi sembra importante non escludere subito e completamente tutte quelle situazioni (forse la maggioranza) in cui una collaborazione tra colleghi risulta difficile o magari realisticamente impossibile: in questi casi, credo sia utile e produttivo che anche il singolo insegnante possa percorrere un itinerario di ricerca, purché sin dall’inizio, e in ogni sua fase, orientato verso possibili sviluppi trasversali. Inoltre, un itinerario di lavoro realistico deve potersi rendere disponibile non solo nelle situazioni di cooperazione “ufficiale”, sanzionata magari a livello istituzionale, ma anche in tutte quelle situazioni di collaborazione informale e, per così dire, “sommersa”, tra due o più colleghi di discipline diverse.

    Vediamo ora di definire meglio le fasi di questo itinerario.

    L’identificazione delle aree di abilità di studio tipiche di ogni contesto disciplinare potrebbe essere effettuata raccogliendo semplicemente i dati nelle situazioni effettive di classe: si tratta di osservare attentamente le situazioni di apprendimento in cui quotidianamente vengono a trovarsi gli studenti per esplicitare:

  • i compiti che gli studenti devono assolvere in risposta a quanto viene loro, implicitamente o esplicitamente, richiesto di fare (ad es. studiare a casa un argomento già spiegato in classe dall’insegnante);
  • i materiali e te tecniche didattiche adottate dall’insegnante o inglobate nei materiali stessi (ad es. il libro di testo o una dispensa, con il loro corredo di domande, esercizi, schede da compilare ecc.);
  • le abilità specifiche che gli studenti devono possedere per utilizzare al meglio i materiali e le tecniche didattiche, in modo da far fronte positivamente al compito loro richiesto (ad es., saper realizzare una lettura-studio efficace del proprio libro di testo).

    Naturalmente questa raccolta di dati tramite osservazione empirica può essere facilitata dall’utilizzo di griglie già predisposte (vedi l’Appendice), le quali, tuttavia, non devono impedire la messa a fuoco delle abilità che emergono dalle effettive situazioni di insegnamento/apprendimento. Le righe di puntini nella griglia vogliono appunto stimolare il lettore a “integrare” una proposta con aggiunte, cancellazioni e cambiamenti derivati dalla sua effettiva esperienza di classe.

    Proprio perché l’identificazione di grandi “aree” di abilità di studio mette in luce la vastità dei problemi sottesi alla costruzione di un metodo di lavoro da parte degli studenti, risulta necessario passare ad una fase di selezione, in cui, sulla base della distinzione già citata tra prerequisiti ed obiettivi, si individuino le abilità più urgenti, in modo da concentrare su di esse il lavoro, poniamo, di un mese, di un quadrimestre, odi un intero anno scolastico. Quanto più questa selezione sarà il frutto di un confronto tra le “mappe” di abilità prodotte da insegnanti di discipline diverse, tanto più ricche, come si è visto, saranno le opportunità di applicazione ed effettivo sviluppo per gli studenti.

    Sin qui l’itinerario di lavoro avrà prodotto soltanto una lista di aree di priorità. La messa in atto di interventi didattici richiede però, come sappiamo, che obiettivi ancora di carattere generale (come, ad es., il «saper leggere un capitolo di un libro di testo rielaborandone i contenuti») siano analizzati in componenti operative, cioè in operazioni cognitive sostenute come si è detto da mediatori tecnici (strumenti), che lo studente possa mettere in atto per esercitare e costruire gradatamente l’abilità complessiva. Così, ad esempio, l’abilità della lettura-studio dovrà portare a una specificazione di operazioni più “fini” come la lettura anticipatoria/orientativa, la lettura intensiva, la rielaborazione, la revisione e/o memorizzazione. E queste operazioni dovranno essere meglio specificate, distinguendo, ad esempio, per la rielaborazione, come selezionare e riorganizzare le informazioni, come produrre sintesi lineari (riassunti, relazioni) e non lineari (appunti, schedature), scegliendo gli opportuni strumenti. È soltanto in seguito a un’analisi dettagliata delle singole abilità che si potranno delineare obiettivi sufficientemente operativi da poter costituire la base di materiali e attività integrati nei contenuti disciplinari. E ancora questa analisi che permetterà, nelle situazioni in cui ciò risulti possibile, uno sviluppo parallelo di operazioni cognitive e/o di mediatori tecnici nell’ambito di due o più discipline (si pensi, per tornare all’esempio della lettura-studio, alle esercitazioni per abituarsi a distinguere le informazioni principali da quelle accessorie, le categorie dagli esponenti, i fatti dalle opinioni, i processi dai loro stadi ecc.; per stabilire una gerarchia tra le informazioni, cancellando, unificando, sostituendo unità informative con altre di carattere più generale (realizzando cioè una sintesi); per imparare a interpretare e costruire tabelle, grafici, diagrammi con l’utilizzo di simboli e abbreviazioni; tutte operazioni che, dal punto di vista dei contenuti disciplinari, possono trovare in molti casi agevoli applicazioni).

     

    Alcuni criteri per lo sviluppo di materiali e attività

     

    Sia che si decida di realizzare interventi transdisciplinari, sia che il programma coinvolga, magari solo come momento di avvio e di stimolo iniziali, una sola disciplina, il passaggio alla fase di progettazione e realizzazione di materiali e attività costituisce un momento delicato, soprattutto perché è a questo livello che devono essere prese in considerazione alcune implicazioni fondamentali (cui si è già accennato nelle risposte ad alcune obiezioni di fondo: vedi sopra). Ritengo che nello sviluppo di abilità di studio i materiali e le attività debbano soddisfare, se non sempre in modo puntuale, almeno in linea di massima, alcuni criteri-base:

    a) la presa di coscienza, da parte dello studente, dei problemi esistenti e della loro esatta natura in quanto problemi di apprendimento. Se avere un problema non sempre significa esserne coscienti e/o saperlo descrivere, una fase di auto-consapevolezza costituisce un punto di partenza da privilegiare. Ciò significa anche prendere coscienza non solo delle proprie limitazioni ma anche delle proprie potenzialità, partendo così non dal “vuoto” assoluto, ma dalle abilità già possedute, per adattarle e svilupparle a livelli superiori e per indirizzarle verso un apprendimento più organizzato, com’è quello in situazione scolastica. Prendere coscienza della propria situazione, individuale e di gruppo, significa anche verbalizzare l’esperienza, socializzarla tramite il confronto con i compagni e l’insegnante; e ciò si traduce spesso in uno sviluppo della motivazione a proseguire nell’analisi dei problemi;

    b) l’acquisizione di nuove conoscenze e l’addestramento a nuove competenze, attraverso l’esposizione a una varietà di strategie diversificate, da sperimentare su se stessi, trasferendo queste nuove conoscenze e competenze alla propria situazione personale. Credo sia importante, in molti casi, privilegiare, più che la presentazione di una strategia da applicare passivamente ad ogni situazione (favorendo l’illusione delle soluzioni preconfezionate valide sempre, per tutti e dappertutto), l’esperienza concreta di modi diversi di affrontare la realtà. Si tratta, sperimentando strategie alternative, di scoprire quale tra esse meglio si adatta al proprio personale stile di apprendimento; si tratta inoltre, così facendo, di acquisire, non solo un bagaglio, pur utilissimo di conoscenze e competenze, ma anche un metodo e un atteggiamento cognitivo e affettivo per affrontare e risolvere, in modo individuale, ma con l’appoggio e la verifica del gruppo/classe di riferimento, problemi nuovi in circostanze diverse;

    c) la valutazione dell’impatto dell’esperienza sui propri modi di imparare, e la verifica dell’efficacia delle strategie adottate. Se è vero che si impara facendo, in questa fase si impara anche pensando, riflettendo cioè in modo consapevole su quanto si èfatto, ma soprattutto su come lo si è fatto e su come si possono migliorare progressivamente le proprie prestazioni.

    (Per un’esemplificazione di materiali e attività sviluppati secondo questi criteri, su contenuti disciplinari relativi alla lingua inglese, ma trasferibili anche ad altre aree disciplinari, si veda Mariani L. Study Skills through English. Bologna, Zanichelli,1987.)

     

    Conclusione

     

    Un programma di questo tipo potrebbe dare l’impressione di richiedere un investimento di tempo e di energie ben al di là delle disponibilità comuni, sia da parte degli insegnanti che da parte degli studenti. Si tratta certamente di un lavoro impegnativo, tale da poter essere intrapreso solo se si è sufficientemente convinti che valga la pena di privilegiare, oltre ai contenuti delle singole discipline, anche i processi sottesi all’acquisizione e alla rielaborazione di quei contenuti. Tuttavia, credo si debba anche sottolineare il fatto che, come gli studenti non partono da un vuoto di conoscenze e competenze, anche gli insegnanti non affrontano certamente un’esperienza del tutto nuova: non solo esiste oggi una notevole disponibilità di materiali e strumenti di carattere sia teorico che didattico/applicativo (e si vedano a questo proposito i riferimenti bibliografici); ma soprattutto si tratta di partire dall‘esistente, dalle pratiche didattiche consolidate, all’interno delle quali esiste spesso già una potenzialità da sfruttare. Si tratterà allora di evidenziare, esplicitare, sistematizzare ciò che all’interno dell’esistente già tende a sollecitare una maggiore consapevolezza di come si impara ad imparare (non ultima, una maggiore attenzione, nell’adottare e adattare libri di testo e materiali didattici, al grado in cui questi si prendono carico del problema delle “abilità di studio”).

     

    Appendice: Esempio di griglia per l’identificazione di abilità di studio

 

    1. Come “immagazzinare” e “recuperare”informazioni

  • Uso del diario
  • Organizzazione del quaderno
  • Archiviazione dispense e materiali
  • Utilizzo del registratore
  • Utilizzo del computer
  • Metodi per prendere appunti

          * da testi scritti

          * durante le lezioni

     

  • Metodi per realizzare

          * schedature

          * verbali

          * relazioni

          * riassunti, sintesi

                       

  • …………...…….

     

    2. Come utilizzare i libri di testo

     

  • Strategie di lettura per l’apprendimento
  • Tecniche di studio e di memorizzazione
  • Le istruzioni nei libri di testo
  • …………………...

      

    3. Come utilizzare opere di consultazione

  • Dizionari
  • Atlanti
  • Grammatiche
  • Enciclopedie
  • Manuali
  • Software
  • Uso della biblioteca
  • …………………...

                        

    4. Come leggere e produrre in linguaggi non verbali

     

  • Mappe
  • Tabelle
  • Grafici
  • Diagrammi, schemi
  • Uso delle immagini

    * disegn

    * fotografie

    * video

     

  • Uso dei linguaggi numerici
  • …………………….

     

    5. Come affrontare esercizi, “test” ed esami

     

  • Tipologia di esercizi e relative tecniche
  • Come interpretare e seguire istruzioni
  • Interrogazioni e compiti in classe
  • ………………...

                      

    6. Come organizzare revisione e recupero

  • Tecniche di correzione
  • Metodi di autovalutazione
  • Programmazione della revisione
  • ……………

     

    7. Come valutare e migliorare il proprio “metodo di studio”

     

  • Abitudini di lavoro a casa
  • Programmazione, es.

    * organizzazione lavoro e tempo libero

    * distribuzione periodi di studio

           * alternanza studio e pause

  • Caratteristiche del luogo e delle condizioni in cui si studia
  • Problemi di concentrazione e memorizzazione
  • Motivazione e interessi
  • …………………...

 

    8. Come utilizzare il tempo-scuola

  • Lezioni teoriche
  • Discussioni
  • Lavori di gruppo
  • Laboratori
  • ……………………

 

 

 

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