PORTFOLIO E PORTFOLII:

UN GRANDE FUTURO DIETRO LE SPALLE?

 

 

Lingua e Nuova Didattica, Volume XXXV, No. 4, Settembre 2006

 

 

Luciano Mariani

 

 

Parlare o scrivere di portfolio è oggi pericoloso, perché la parola non ha un significato univoco e condiviso all’interno della comunità di riferimento a cui è rivolto questo mio contributo (la scuola), e perché, in concreto, si rischia di trattare di “oggetti” diversi e non ben identificati. Per iniziare qualunque discorso su qualunque portfolio è a mio avviso dunque indispensabile

·        condividere il significato che si vuole attribuire al termine;

·        esplicitare i riferimenti teorici e metodologici sottostanti;

·        correlare il valore e il ruolo attribuiti al portfolio in quanto strumento ai concreti contesti in cui è (o è stato) utilizzato.

 

Preliminare a ogni discussione è la considerazione del portfolio come strumento e non come approccio pedagogico o didattico. Come l’uso della drammatizzazione o del gioco dei ruoli non va confuso con gli approcci comunicativi, o come l’uso di programmi informatici non è sinonimo di centralità o autonomia dello studente, così l’uso di un portfolio non va confuso, ad esempio, con i processi di autovalutazione, nei confronti dei quali pure costituisce un esempio di possibile strumento.

 

Vorrei percorrere questo itinerario di chiarificazione facendo riferimento a tre esempi di utilizzo di portfolii: il portfolio usato in ambito nordamericano, il Portfolio Europeo delle Lingue proposto dal Consiglio d’Europa (PEL), e il Portfolio delle Competenze Individuali (PCI) facente parte della recente riforma della scuola italiana.

 

 

Il portfolio in ambito nordamericano

 

In ambito nordamericano il portfolio è usato da almeno un paio di decenni come strumento di valutazione alternativa e autentica, che integra (o in qualche caso addirittura sostituisce) la valutazione tradizionale.

 

Il termine “alternativo” si giustifica con l’insoddisfazione per le procedure tradizionali di valutazione in uso nei contesti nordamericani, molto spesso basate su test scritti, quasi mai orali, "oggettivi", a risposta chiusa (con formati del tipo: scelta multipla, vero/falso, accoppiamento). Le critiche a questo tipo di test hanno riguardato una valutazione

·        vista come scopo per cui si impara, con la tendenza ad insegnare (ed imparare) solo quello che verrà valutato, e solo nei modi in cui verrà valutato – realizzando così una scissione tra apprendimento e valutazione;

·        di conoscenze e di abilità da riprodurre così come insegnate, con scarse richieste di rielaborazione e scarsa aderenza alla realtà di applicazione;

·        centrata sul risultato finale selettivo (il prodotto), senza attenzione nè per il processo nè per il progresso di chi impara;

·        come giudizio totalmente esterno al discente, fornito al termine del periodo di apprendimento.

 

Il termine “autentico”, che spesso accompagna il termine “alternativo”, fa riferimento all’utilizzo di  prove che si avvicino quanto più possibile a compiti di realtà, che siano più simili possibile all’uso di conoscenze e abilità che lo studente farebbe in situazioni reali: si tratta di un tentativo di valutare la competenza, dimostrata attraverso prestazioni in contesti reali o per lo meno realistici.

 

Non si deve dimenticare che il portfolio è stato utilizzato, nell’ambito di questo tipo di valutazione “alternativa e autentica” come uno tra i tanti strumenti che sono stati concepiti allo scopo, ad esempio:

·        per la produzione orale: interviste, storie da costruire a partire da immagini, video clips, riformulazione di testi, simulazioni e giochi di ruolo, resoconti, dibattiti;

·        per la comprensione scritta: schede o diari per documentare e commentare i libri letti, reazioni scritte a materiali letterari, gruppi di discussione su testi letti, ma anche test del tipo cloze, domande di comprensione aperte, insegnamento tra pari;

·        per la produzione scritta: riassunti, diari (anche condivisi con l’insegnante), resoconti, relazioni, articoli (O’Malley e Valdez Pierce 1996).

 

Il portfolio è diventato presto in un certo senso trasversale a tutti questi tipi di compiti perché li raccoglie, li classifica, li commenta e li integra in modo da renderli presentabili e valutabili, oltre che come singole prove, anche e soprattutto come documentazione del progresso complessivo dello studente nel tempo: si tratta dunque di quello che ci siamo abituati a chiamare dossier. Questo tipo di valutazione ha riportato alla luce i processi che portano ai prodotti, attraverso l’uso di guide procedurali, l’educazione alle strategie, e uno stretto collegamento con l’autovalutazione, realizzata spesso tramite l’uso di “rubriche” (rubrics)(Comoglio 2002a e 2002b, Goodrich Andrade 2000), cioè di griglie che specificano i criteri di giudizio delle prestazioni e la gamma dei livelli di qualità attesi.

 

L’utilizzo del portfolio in particolare è stato oggetto di dibattiti e polemiche, per esempio relativamente alla misura in cui esso può o deve incidere sulla valutazione complessiva, e di critiche anche aspre, quando ad esempio, facendo riferimento al fatto che i lavori inclusi nel dossier possono essere il risultato di una collaborazione tra studenti o di un intervento da parte di insegnanti e genitori, ci si è chiesti (Gearhart e Herman 1995), Whose work is it?, cioè, A chi appartiene questo lavoro?

 

 

Il Portfolio Europeo delle Lingue

 

Il PEL, parte di un più vasto progetto di politica linguistica adottato dal Consiglio d’Europa, intende assolvere due funzioni primarie, quella certificativa, corrispondente ai suoi usi amministrativi (portfolio "dimostrativo") e quella formativa, corrispondente ai suoi usi pedagogico-didattici (portfolio "di apprendimento").

 

Si tratta di uno strumento profondamente diverso dagli originari portfolii nordamericani, sia per la presenza di un passaporto che per la presenza di una biografia, che comprende una serie di strumenti di riflessione sulle esperienze linguistiche e interculturali, e, più in generale, di apprendimento, e una parte molto consistente di elenchi di descrittori di competenze. Il dossier, che abbiamo visto essere il cuore dei progetti nordamericani, si è paradossalmente ridotto, certamente in termini di visibilità formale, ma a volte anche in termini di ruolo e valore nell’ambito dell’intero portfolio e, credo, almeno in certe situazioni, in termini di frequenza d’uso. Spesso l’attenzione degli insegnanti (e quindi degli studenti) si è focalizzata sulla biografia, e più spesso ancora sui descrittori.

 

Tuttavia, accanto alla tendenza originale, che, anche sulla base di forti pressioni politiche e sociali, sembrava puntare molto sulla valenza certificativa, la prassi tra gli insegnanti, sia in Italia che all’estero, si è molto diversificata, mettendo in luce un certo generalizzato interesse per la valenza pedagogica. L’attenzione sembra rivolgersi non solo al prodotto, ma anche al processo, con un timido ma visibile desiderio di far documentare, verbalizzare, socializzare elementi come, ad esempio, le strategie usate, gli stili di apprendimento, le motivazioni, e in generale le “scoperte” che lo studente compie riguardo alle lingue, alle culture, all’apprendimento e alle relazioni tra sé e questi ambiti di riferimento.

 

Uno dei principi ispiratori del PEL, sempre ribadito dal Consiglio d’Europa, è che si tratta di uno strumento di proprietà dello studente: l’insegnante è presente come guida, sostegno, facilitatore, ma  nulla nel portfolio dovrebbe apparire che non sia stato deciso dallo studente, o per lo meno concordato tra studente e insegnante.

 

Il PEL si è ormai configurato come strumento che ha una sua validità autonoma in sede europea, ormai consolidata e fuori discussione, e che, a livello di scuola, di classe e di singolo individuo, integra la valutazione dell’insegnante, e, anzi, apre le porte alla co-valutazione, cioè ad un giudizio negoziato tra alunni e insegnanti sulla base di criteri trasparenti e condivisi all’inizio, e non alla fine, del percorso di apprendimento. Naturalmente questa centralità dello studente si realizza attraverso lo strumento “portfolio”, ma anche e soprattutto attraverso la sua gestione da parte dell’insegnante. E’ opportuno non confondere le potenzialità dello strumento con l’effettivo utilizzo e gli effettivi risultati che si ottengono in classe; e ribadiamo che un conto è lo strumento, un conto sono le scelte pedagogiche, metodologiche, didattiche che compie l’insegnante quando lo usa.

 

 

Il Portfolio delle Competenze Individuali

 

A proposito del PCI, indissolubilmente legato ai principi della recente riforma della scuola, per quanto mi risulta non è finora stato esplicitato alcun riferimento teorico o metodologico, bibliografico o sitografico, che chiarisca quale sia l’ispirazione, la provenienza, la storia pregressa di questo strumento. In mancanza di questi dati, possiamo solo fare delle ipotesi, con tutti i dubbi e i rischi che comporta un’operazione di questo genere. In compenso si hanno dei riferimenti normativi che delimitano i confini della materia: il PCI è infatti descritto nelle Indicazioni nazionali per i Piani di studio personalizzati[1] e in una circolare ministeriale[2] di più recente emanazione. (Si noti che le Indicazioni nzionali sono un documento vincolante rispetto alle parallele Raccomandazioni, e che la figura del docente coordinatore-tutor, su cui fa perno la gestione del PCI, è stata riconosciuta come materia di natura contrattuale, che potrà essere introdotta solo con un accordo sindacale; alla data in cui scrivo – dicembre 2005 - la relativa trattativa è ferma.)

 

Vediamo allora, sulla base di questi riferimenti normativi, quali sono le caratteristiche che il PCI condivide con il PEL e quali sono le differenze sostanziali. Possiamo considerare caratteristiche condivise, almeno sulla carta:

·      il taglio metacognitivo, esteso a insegnanti, genitori e alunni, e le pratiche di autovalutazione. Citiamo dalle Indicazioni nazionali: “La riflessione critica su questi materiali costituisce un’occasione per migliorare le pratiche di insegnamento, per stimolare lo studente all’autovalutazione e alla conoscenza di sé in vista della costruzione di un personale progetto di vita e, infine, per corresponsabilizzare i genitori nei processi educativi.”

·      il senso della continuità tra le classi e i cicli di istruzione: “La sua funzione è particolarmente preziosa nei momenti di transizione tra le scuole dei diversi ordini.” (Tuttavia, nel recente decreto sulla riforma del secondo ciclo[3] il PCI non è nemmeno citato; si ha solo la menzione di un Portfolio delle competenze personali (che si tratti dello stesso PCI?), a proposito dell’orientamento, al punto 1. (Identità) del Profilo educativo, culturale e professionale dello studente);

·      il significato valutativo e orientativo: ”Le due dimensioni, però, si intrecciano in continuazione perché l’unica valutazione positiva per lo studente di qualsiasi età è quella che contribuisce a comprendere l’ampiezza e la profondità delle sue competenze e, attraverso questa conoscenza progressiva e sistematica, a fargli scoprire ed apprezzare sempre meglio le capacità potenziali personali, non pienamente mobilitate, ma indispensabili per avvalorare e decidere un proprio futuro progetto esistenziale. E’ qui chiaramente sottolineata la funzione formativa dello strumento[4].

 

Consideriamo ora le principali differenze tra PEL e PCI:

·      la responsabilità della gestione: il PEL è, come si è detto, strumento di proprietà dello studente, al quale dunque, sia pure con la guida e il supporto dell’insegnante, spetta il compito di selezionarne e modificarne i contenuti. Al contrario, le Indicazioni nazionali prevedono che il PCI sia compilato e aggiornato dai docenti di sezione (per la scuola dell’infanzia), e dal docente coordinatore-tutor, in collaborazione con tutti i docenti che si fanno carico dell’educazione e degli apprendimenti di ciascun allievo (per la scuola primaria e secondaria di primo grado), “sentendo i genitori e gli stessi allievi” (scuola primaria) e “a partire dai genitori e dagli stessi studenti” (scuola secondaria). Si ribadisce che il PCI deve contenere “precise annotazioni sia dei docenti, sia dei genitori, sia, se del caso, dei fanciulli” (scuola primaria) e “precise annotazioni sia dei docenti, sia dei genitori, sia (se necessario) dei preadolescenti” (scuola secondaria)(i corsivi sono miei)[5]. In ogni caso, il ruolo riservato agli studenti sembra essere piuttosto limitato, comunque secondario rispetto a quello degli insegnanti e, al limite, se si vuole stare alla lettera del testo ministeriale, persino facoltativo;

·      la struttura: il PCI comprende “parti obbligatorie già strutturate, parti obbligatorie da strutturare liberamente e parti consigliate la cui strutturazione è libera. Si consiglia, comunque, di strutturare il Portfolio in modo essenziale, garantendo, in ogni caso, la presenza dei seguenti documenti: documento di valutazione; attestato di ammissione; certificazione delle competenze; consiglio di orientamento; documentazione dei processi di maturazione personale dell'alunno; modalità di partecipazione/autovalutazione dell'alunno”. Questo elenco di “documenti essenziali” potrebbe prefigurare una possibile riduzione del PCI alla sua funzione (etero-)valutativa, se non addirittura burocratico-amministrativa. Inoltre, l”autopresentazione e/o presentazione dell’alunno” e la “biografia con narrazione delle esperienze significative dell’alunno” sono previste nella parte “consigliata e a struttura libera”;

·      i contenuti: il PCI dovrebbe contenere, oltre a materiali prodotti dagli alunni, un’estesa gamma di materiali descrittivi e valutativi prodotti dagli insegnanti e, si auspica, forniti anche ove possibile dalle famiglie[6]. Gli esempi forniti nell’Allegato alla circolare più volte citata (e che in teoria dovrebbero derivare anche dalle rilevazione delle esperienze fatta dagli IRRE) si limitano alla modulistica relativa alla parte “obbligatoria strutturata” e agli “esempi di apprendimenti (conoscenze e abilità) desunti dagli Obiettivi specifici di apprendimento per le discipline e per la Convivenza civile delle Indicazioni Nazionali (Peraltro, questi ultimi  non sono da inserire nel portfolio, ma vanno utilizzati per la compilazione del documento di valutazione.)

 

Queste sono differenze sostanziali, forse inconciliabili. Insieme al quadro normativo e istituzionale a dir poco confuso, non hanno finora reso agevole il coordinamento e l’integrazione tra PEL e PCI. Dall’altro lato, proprio gli insegnanti di lingue sono tra i primi ad aver auspicato l’estensione del portfolio all’intero curricolo, e non solo come strumento: chi ha usato in modo proficuo un portfolio si è reso conto delle potenzialità che ha e delle possibilità che apre per riconsiderare l’intero processo di apprendimento-insegnamento-valutazione.

 

Finora, diverse scuole hanno semplicemente deciso di non adottare il portfolio; alcune hanno adottato una modulistica proposta dalle case editrici; diverse altre si sono date da fare, e, nei casi migliori, sono riuscite a trasformare l’ambiguità della proposta ministeriale in un’occasione di creatività, ovviamente con un forte investimento di energie, di tempi e di risorse. Sono stati così prodotti modelli di “portfolio delle competenze”, entro i quali il PEL ha stentato a trovare una collocazione adeguata.

 

 

Alcuni elementi di riflessione prima di progettare un portfolio

 

E’ mio parere che prima di mettersi a costruire un portfolio, stabilendone struttura e contenuti, tra colleghi di discipline diverse, occorra condividerne le finalità. Ricordo ancora una volta che il portfolio è uno strumento al servizio di finalità pedagogiche e didattiche – e dunque le domande preliminari e assolutamente inevitabili non sono, “Come deve essere costruito un portfolio?” oppure “Che cosa deve contenere?”, ma

·      perché introdurre un portfolio? A quali esigenze risponderebbe?

·      che cosa offrirebbe di nuovo, che cosa farebbe cambiare nella visione pedagogica e ancora di più nella prassi didattica di studenti e insegnanti?

·      che valore aggiunto potrebbe offrire, anche rispetto ad altri tipi di strumenti, visto che sappiamo trattarsi di un’innovazione costosa da tutti i punti di vista?

 

A titolo puramente esemplificativo, si potrebbe partire da una discussione di queste esigenze effettive, che a me sembra di poter condividere oggi nelle nostre scuole:

·      un’esigenza di valutare, documentandole, delle competenze;

·      un’esigenza di osservare e fare auto-osservare anche gli aspetti di processo, per favorirne una presa in carico attiva  e responsabile;

·      un’esigenza di includere sempre lo studente in queste attività, attraverso pratiche di autovalutazione e covalutazione.

 

Provo a ipotizzare quello che un portfolio potrebbe offrire – e dico potrebbe, perché l’effettiva realizzazione di queste potenzialità è oggi condizionata, come sappiamo, da molti fattori critici. (Per una discussione più approfondita, si veda Mariani et al 2004.)

 

1. Un portfolio potrebbe porsi come strumento di identità personale globale:

uno strumento che restituisca agli studenti unità, identità, orientamento e continuità di significati e di vissuti personali (continuità orizzontale, cioè attraverso le specificità disciplinari; continuità verticale, cioè da una classe all'altra, da una scuola all'altra; e continuità esistenziale, cioè attraverso le esperienze maturate anche fuori della scuola), recuperando questi valori rispetto all'inevitabile frammentazione delle esperienze a scuola.

 

2. Un portfolio potrebbe documentare competenze acquisite o in via di sviluppo attraverso una pluralità di testimonianze:

per valutare o autovalutare competenze complesse in modo valido e attendibile non basta una prestazione unica, ma occorrono tanti momenti, tanti strumenti diversi, tante modalità, tante circostanze: questo, in effetti, è esattamente quello che richiede e consente di fare un portfolio in quanto raccolta sistematica e organizzata di prodotti e di prestazioni. Il portfolio dimostra quello che le persone sanno e sanno fare attraverso più prove e testimonianze di compiti concreti e in contesti realistici, svolti man mano che procedono nel loro lavoro.

 

3. Un portfolio potrebbe promuovere una valutazione formativa che integri auto- e co-valutazione con l’apprendimento:

è un raccolta di testimonianze selezionate in base alla loro significatività per il suo proprietario. Questo ha importanti implicazioni per il lavoro didattico: saper scegliere implica de-costruire e ri-costruire la competenza per ottenere criteri che non sono solo criteri di valutazione finali, ma diventano anche criteri di lavoro, cioè griglie procedurali, anche di strategie, che aiutano a svolgere i compiti attraverso i quali si costruisce la competenza. E’ in questo modo che i due momenti, così spesso distinti e separati, dell’apprendimento e della valutazione, possono invece integrarsi.

 

4. Un portfolio potrebbe dare visibilita’ “documentaria” anche ad aspetti di processo – attraverso una didattica metacognitiva:

il "proprietario" riflette non solo su che cosa ha prodotto, ma anche su come lo ha realizzato; non raccoglie soltanto esperienze, ma estrae significato e valore dalle esperienze riflettendo, tra l’altro, su fattori quali le condizioni e i contesti dell'esperienza, le difficoltà incontrate, le strategie usate per superarle, le soddisfazioni o le frustrazioni sperimentate, la propria nuova percezione di competenza: una componente metacognitiva, un "andare al là" del vissuto per esaminarlo criticamente e più oggettivamente; o, detto in altri termini, un apprendimento (e un insegnamento) “riflessivi”.

 

Supponendo che si sia d’accordo su finalità di questo tipo, possiamo allora – e solo allora – passare a chiederci quale struttura e quali contenuti possa avere un PCI.

 

 

Per una rifondazione di un portfolio delle competenze

 

Non è ovviamente concepibile un portfolio separato per ogni disciplina o area disciplinare; e, d’altro canto, il PEL come strumento europeo ha un suo formato irrinunciabile. Tuttavia, poichè la sua funzione certificativa è assolta soprattutto dal passaporto, la biografia e il dossier sono le parti che più agevolmente potrebbero integrarsi in un PCI, anzi diventare la struttura fondamentale di un PCI.

 

Certamente occorre trovare in primo luogo una via d’uscita rispetto al grosso ostacolo rappresentato dal PCI come strumento essenzialmente gestito dall’insegnante o tutor o coordinatore. Una condizione irrinunciabile è che la biografia e il dossier debbano poter essere gestiti in modo autonomo dallo studente, secondo il principio del PEL, separandoli fisicamente dai materiali prodotti da – o di competenza dell’insegnante. Tra i due insiemi di materiali possono essere istituite corrispondenze, rimandi, incroci, ma i materiali dello studente devono poter essere accessibili in modo indipendente, trovando una soluzione tra quelle che già sono state sperimentate (ad esempio, lasciando a scuola i portfoli chiusi in un armadio di classe). Tutti gli altri materiali devono trovare un’altra collocazione, anche se in momenti particolari e per finalità specifiche, ad esempio in occasione della fine di un quadrimestre, di un anno o di un ciclo, possono essere, almeno in via temporanea, fisicamente riuniti.

 

Per quanto riguarda i materiali che sono o potrebbero essere di competenza dell’insegnante (schede di valutazione, griglie di osservazione e monitoraggio, e così via), non è questa la sede in cui farne una descrizione – e d’altronde, la circolare citata ne fa un elenco sostanzioso anche se molto generico e non operativo. Mi limito a segnalare le questioni che sono secondo me prioritarie per sviluppare i materiali per lo studente da includere in una biografia e in un dossier pluridisciplinare e/o trasversale:

1.      individuare le componenti di una biografia che potrebbero costituire un nucleo comune trasversale a tutto il curricolo;

2.      mettere a punto criteri per identificare e descrivere livelli di competenze disciplinari nella biografia;

3.      estendere ed adeguare i formati delle modalità autovalutative previste dal PEL, sia nella biografia che nel dossier, a tutte le aree disciplinari.

 

1. Le modalità di riflessione e documentazione a cui ci ha abituato la biografia nel PEL possono essere estese trasversalmente al curricolo, arrivando ad esempio a comprendere:

·  elementi di identità personale e socio-culturale: es. dati anagrafici, curriculum scolastico, percezioni di personalità, motivazioni, aspettative, …

·  esperienze: es. tipo, luoghi e tempi, rilevanza, apprendimenti (nuove conoscenze e abilità), valutazione delle positività e delle criticità …

·  competenze trasversali (in aggiunta a quelle disciplinari): es. informatiche, linguistiche, grafiche, organizzative …

·  interessi personali, sociali, culturali e loro impatto sugli apprendimenti: es. hobby, sport, comunità di riferimento …

·  progetti personali: obiettivi, conoscenze e abilità coinvolte, strategie, risorse, scadenze, indicatori di successo …

·  modalità di apprendimento: abitudini di studio, stili cognitivi, strategie preferite, “intelligenze”…

 

Non c’è dubbio che aree disciplinari diverse possano dare a questi elementi trasversali una dimensione particolare: ad esempio, le esperienze interculturali hanno una loro specificità molto spiccata. Nello stesso tempo, però, riunire “sotto lo stesso tetto” tutta la gamma delle esperienze, scolastiche ed extra-scolastiche, può contribuire, come già si diceva, a tessere la trama del vissuto personale e a dare più visibilità alla globalità del percorso formativo.

 

2. La biografia dovrebbe comprendere, sempre in analogia a quella del PEL, anche i descrittori di competenza per le varie discipline, formulati in modo da permettere il più possibile sia la valutazione da parte dell’insegnante, sia l’autovalutazione da parte dell’alunno. Qui si gioca una delle parti più delicate di un progetto portfolio, perché non c’è dubbio che si richiede a tutti gli insegnanti di ripensare obiettivi, contenuti e metodi delle loro discipline – ciò che hanno fatto e stanno facendo gli insegnanti dell’area linguistica con l’ausilio di strumenti come il Quadro Comune Europeo di Riferimento. Per molti insegnanti non è spesso facile distinguere tra conoscenze e abilità, e ancora di più tra abilità e competenze. Non ci sono scorciatoie in questo senso, e il cammino sarà molto lungo.

 

Possiamo perciò prevedere un lento, graduale affinamento di queste categorie – l’importante, però, è che i descrittori che finiscono nel portfolio dello studente siano trasparenti e condivisi, oltre che naturalmente comprensibili e gestibili da tutti. L’uso di una scheda come quella della Fig. 1, ad esempio, ha comportato grosse difficoltà, in primo luogo soprattutto agli insegnanti per la stesura degli obiettivi: a volte, sono stati indicati descrittori che sembravano fare riferimento a conoscenze più che a competenze. La mia opinione personale è che non ci si debba sorprendere o addirittura scandalizzare di fronte a questo. Una scheda come questa è comunque servita a condividere obiettivi tra insegnanti e studenti e ad aumentare la consapevolezza di entrambi.

 

3. Con questa scheda abbiamo già introdotto la terza questione prioritaria, e cioè la necessità di estendere ed adeguare i formati delle modalità autovalutative previste dal PEL, sia nella biografia che nel dossier, a tutte le aree disciplinari. In teoria, facendo ora l’esempio del dossier, non sarebbe poi così strano proporre uno schema organizzativo del dossier del tipo di quello a cui ci ha abituato il PEL (Fig. 2). In realtà, questa scheda in apparenza semplicissima contiene elementi a dir poco dirompenti: tutto si gioca nell’ultima colonna, dove verbalizzare e socializzare le ragioni per la scelta di un materiale costituisce un esempio di attività metacognitiva potenzialmente molto raffinata. Qui non è in gioco soltanto un processo di consapevolezza personale, ma anche un riferimento preciso alle competenze in via di sviluppo.

 

Ancora una volta si rimette in discussione il concetto di valutazione che ognuno di noi si porta con sé. Non sarà facile far passare attraverso il curricolo l’idea stessa di autovalutazione, e forse ancora di più l’idea di una co-valutazione negoziata tra studenti e insegnanti. Ma possiamo rinunciare a questo punto di forza di un portfolio? Che cosa rimarrebbe dell’idea stessa di portfolio se affinassimo solo gli strumenti di valutazione che usa o potrebbe usare l’insegnante? Certo, possiamo comporre a piacimento una gamma di schede di valutazione, ma, per favore, non chiamiamole portfolio – chiamiamole come vogliamo, ma non portfolio.

 

Conclusione

 

Come ho cercato di dimostrare, il PEL può certamente costituire un utile punto di riferimento, sia perché è basato su un impianto teorico e metodologico robusto e trasparente, sia perché ha ormai alle spalle una sperimentazione vasta, dagli esiti diseguali ma comunque promettenti. Ancora una volta, tocca forse agli insegnanti di lingue aprire nuove strade e farsi promotori dell’innovazione, senza portare il PEL come modello assoluto, ma traendo ispirazione dagli elementi che nel tempo hanno dimostrato di essere utili e validi.

 

Certo, l’incidenza del PEL sulle prospettive di sviluppo del PCI dipenderà in larga misura dalle singole scuole. Le scuole, se vorranno tentare la sfida del portfolio, al di là del puro obbligo di legge, saranno chiamate a compiere sforzi di immaginazione enormi – ma soprattutto, dovranno lottare contro i gravissimi rischi di burocratizzazione di questo strumento e uno scetticismo molto diffuso.

 

Figg. 1 e 2 – Scheda di autovalutazione e scheda del dossier (da Mariani et. al. 2004)

 

Bibliografia

 

AA.VV., 2004.  Dossier "Il portfolio delle competenze dello studente", ScuolaInsieme, n. 3.

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Comoglio M., 2002b, “La valutazione autentica e il portfolio”, Orientamenti Pedagogici, 49 (2).

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Vertecchi B., 2005, Il portfolio, ANICIA, Roma.



[1] Indicazioni Nazionali per i Piani Personalizzati delle Attività Educative nelle Scuole dell’Infanzia – Allegato A; Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Personalizzati nella Scuola Primaria – Allegato B; Indicazioni nazionali per i Piani di studio personalizzati nella Scuola Secondaria di 1° grado – Allegato C.

[2] Circolare n. 84 - Prot. n. 10328 del 10 novembre 2005 e relativo Allegato alle Linee guida per la definizione e l’impiego del Portfolio delle competenze nella Scuola dell’Infanzia e nel Primo ciclo di istruzione.

[3] Decreto Legislativo 7 ottobre 2005 “Delle norme generali ed i livelli essenziali delle prestazioni sul secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53”.

[4] La circolare citata distingue tra una funzione valutativa del PCI, che si realizza secondo le indicazioni previste dalla circolare ministeriale n. 85/2000 (con la precisazione che “il documento di valutazione (già scheda individuale dell'alunno), pur inserito nel Portfolio delle competenze, conserva una sua precisa identità di struttura e di funzione”) e una funzione orientativa, che “si realizza attraverso l'osservazione continua e sistematica dei processi di apprendimento [dell’alunno] e dei suoi comportamenti, e il suo coinvolgimento nella autovalutazione”.

[5] Peraltro, in almeno parziale contraddizione con le Indicazioni nazionali, la citata circolare precisa che “concorrono alla compilazione del Portfolio, coordinati dal docente tutor, i docenti dell’équipe pedagogica”; e che gli alunni “rilasciano annotazioni su propri prodotti e materiali significativi "capaci di descrivere paradigmaticamente le più spiccate competenze del soggetto"; scelgono lavori ed elaborati esemplificativi delle proprie capacità ed aspirazioni; concorrono alla propria autovalutazione e alla conoscenza di sé; esprimono indicazioni in ordine alle proprie scelte personali”.

[6] “Aspetti autobiografici significativi dell'alunno (nei primi anni di scuola); materiali prodotti dall'alunno, individualmente o in gruppo, capaci di documentare le sue più spiccate competenze; prove scolastiche utili ai fini della conoscenza di sé (conoscenza del proprio corpo, dei propri punti di forza e di debolezza sul piano espressivo, relazionale, emotivo, operativo, degli stili cognitivi caratterizzanti, ecc.); commenti su lavori personali ed elaborati significativi, sia scelti dall'alunno (è importante questo coinvolgimento diretto) sia indicati dalla famiglia e dalla scuola, ritenuti esemplificativi delle sue capacità e aspirazioni personali; indicazioni di sintesi che emergono dall'osservazione sistematica, dai colloqui insegnanti-genitori, da colloqui con l'alunno e anche da questionari o test in ordine alle personali attitudini e agli interessi più manifesti; osservazioni dei docenti e della famiglia sulle modalità di apprendimento, con la rilevazione delle caratteristiche originali dell'alunno nelle diverse esperienze formative affrontate, finalizzata al confronto del proprio modo di vedersi con quello delle figure educative che lo circondano;

documentazione delle competenze dimostrate dall'alunno nella risoluzione di problemi reali della vita scolastica ed extrascolastica, nell'esecuzione di compiti particolarmente complessi, nella realizzazione soddisfacente di progetti riguardanti la committenza personale, familiare o sociale.”

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