TRA PORTFOLIO E CERTIFICAZIONE: DOCUMENTARE E VALUTARE COMPETENZE E PROCESSI NEL CURRICOLO

 Lingua e Nuova Didattica, Anno XXXIII, No. 2, Aprile 2004

 Luciano Mariani

  

Fatte salve le congiunzioni e le preposizioni, il titolo di questo mio contributo si compone esclusivamente di parole-chiave: tra queste vorrei istituire una rete di relazioni, in modo da offrire alcune tracce di riflessione e discussione che aiutino a rispondere a domande come

 

§         che cosa si può/si vuole/si deve documentare e valutare in un curricolo?

§         che cosa implicano i concetti di competenza e di processo? Come si raccordano tra loro?

§         in quali diversi modi strumenti come il portfolio e la certificazione possono contribuire a soddisfare esigenze di documentazione e valutazione?

 

 

Un'esigenza di trasparenza

 

Il portfolio delle lingue e i sistemi di certificazione costituiscono due tra le prime e più importanti applicazioni concrete delle linee-guida contenute nel Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue (AA.VV. 2002, d'ora in poi citato come Quadro). In particolare, essi intendono rispondere ad un'esigenza di trasparenza e comparabilità delle qualifiche riguardanti le lingue a livello internazionale, in modo da contribuire alla mobilità e all'integrazione dei cittadini europei. Nel contempo, questi due strumenti vorrebbero affiancare alla loro valenza certificativa anche una forte valenza formativa, che si realizzerebbe nell'incoraggiare e motivare lo studio delle lingue, nel sottolineare il valore del plurilinguismo e della pluriculturalità, e nel promuovere modalità di apprendimento e valutazione sempre più autonomi.

 

Queste due valenze, certificativa e formativa, possono essere viste come complementari e non antitetiche, ma riguardano comunque due ambiti diversi, che non sempre riescono ad integrarsi in modo armonico nel concreto dei contesti di applicazione, e che proprio per questo necessitano di un esame attento e non superficiale.

 

Nel vorticoso sviluppo delle strumentazioni, che ha visto negli ultimi anni una crescita esponenziale del ricorso alle certificazioni "esterne" alla scuola ed un proliferare di portfolii e di pubblicazioni da parte di enti, istituzioni, case editrici, in un'esplosione di sinergie tra pubblico e privato mai vista prima d'ora, si sta forse sottovalutando l'impatto di una domanda semplice ma cruciale: a che cosa servono gli strumenti?

 

 

Il curricolo tra prodotto e processo

 

Si potrebbe dire che abbiamo risposto a questa domanda all'inizio del paragrafo precedente: gli strumenti servono a fini di documentazione e valutazione. Potremmo però allora chiederci che cosa più esattamente si vorrebbe documentare e valutare. La risposta a questo secondo quesito è in genere altrettanto rapida e univoca: si documentano e si valutano le competenze, nel nostro caso le competenze linguistico-comunicative, in riferimento alle attività comunicative (un tempo chiamate "abilità") specificate nell'ambito dei livelli previsti dal Quadro.

 

Le competenze, tuttavia, si realizzano come prodotto finale o risultato atteso di un percorso di apprendimento che nelle istituzioni formative viene specificato in termini di "curricolo". Non a caso la parola curricolo deriva dalla voce latina currere, cioè "correre", a significare che si tratta di un movimento, di una successione, di un processo. Anche se cristallizzato in documentazioni più o meno ufficiali, il "curricolo" è in concreto l'insieme delle attività che si svolgono giorno dopo giorno in un ambiente di formazione, per integrare obiettivi, contenuti, metodi e valutazione - ai fini, diremmo oggi, dello sviluppo di competenze.

 

Dunque la scuola (intendendo con questo termine più dimesso e familiare qualunque istituzione formativa) prevede un percorso di apprendimento/insegnamento per il raggiungimento di un obiettivo come lo sviluppo di competenze. Questo significa che la scuola esiste non solo in funzione del risultato finale o "esito atteso", ma anche, e ancora di più in termini dei tempi e delle energie impiegati, in funzione del percorso formativo che deve realizzare, cioè del processo che viene messo in movimento. Questa dicotomia tra prodotto e processo, tra risultato finale e percorso progressivo, tra esito atteso e sviluppo in itinere è forse più apparente che reale, ma per dimostrarlo occorre (ri)approfondire il concetto di competenza.

 

 

Alle radici della competenza

 

Ancora una volta è illuminante il ricorso all'etimologia. L'aggettivo "competente" deriva dal tardo latino competente(m), participio presente di competere, che significava in origine "concordare" e più tardi "addirsi". Dunque alle origini di questo concetto non c'è tanto, o soltanto, l'idea della capacità di svolgere un certo compito, ma anche e soprattutto un'idea di attività adeguata, adatta, proporzionata, opportuna (ed è rimasta traccia di questo significato originario nell'espressione mancia competente, dove per "competente" si intende appunto "adeguata" alla prestazione svolta).

 

Si capisce allora come sia stato e sia tuttora difficile definire la competenza, perchè in realtà si tratta non solo di fare riferimento ad un contenuto (le conoscenze e le abilità di una persona), ma anche di sottolinearne l'adeguatezza in una determinata situazione, cioè di inserire e far interagire questi saperi "all'interno di un sistema in cui assume significato anche il chi è portatore dei saperi e il dove e perchè essi si esprimono" (Mariani et al. 2004).

 

Questo è forse il senso più profondo dei descrittori delle attività comunicative proposte dal Quadro e riprese dai portfolii e dai sistemi di certificazione. E questo ci indica forse anche un possibile percorso di utilizzo e di adattamento di questi descrittori nei nostri diversi contesti scolastici. Quando ad esempio consideriamo un descrittore come "E' in grado di riconoscere le informazioni significative in articoli di giornale a struttura lineare, che trattino argomenti familiari" (AA.VV. 2002, Leggere per informarsi e argomentare, Livello B1), non stiamo facendo riferimento ad una generica abilità di lettura, ma ad un insieme di conoscenze e abilità che si concretizzano in una determinata situazione. Questa situazione prevede contesti, condizioni e vincoli che caratterizzano il compito da svolgere e i suoi scopi: non tutte le informazioni, ma solo quelle significative; non tutti gli articoli di giornale, ma solo quelli a struttura lineare; non tutti gli argomenti, ma solo quelli di tipo familiare; e così via. Il lavoro lungo e complesso da compiere sui descrittori è proprio quello di renderli riconoscibili a chi ne fruisce, e in primo luogo agli studenti, in quanto indicatori di competenze adeguate a far fronte a determinate situazioni di uso della lingua da parte di persone che hanno, in un certo momento, particolari esigenze, cioè scopi comunicativi. In questo senso si comprende anche come una competenza così delineata venga definita dal Quadro come "orientata all'azione", cioè appartenente a "membri di una società che hanno dei compiti ... da portare a termine in circostanze date, in un ambiente specifico ..." (AA.VV. 2002: 11).

 

 

Oltre l'opposizione competenza/ processo

 

Emerge anche, da questa visione di competenza, una complessità che non riguarda solo, come si è illustrato, il prodotto, cioè il risultato finale atteso al termine di un percorso di formazione, ma  coinvolge il percorso stesso, cioè il processo attraverso cui si realizza gradualmente, nel suo "correre" continuo, il curricolo. Il concetto stesso di "curricolo" ne viene condizionato, in quanto la competenza può allora essere vista, in questa prospettiva, come la punta di un iceberg, la parte del curricolo "emersa", e dunque più facilmente documentabile, valutabile, certificabile (Fig. 1). La competenza come prodotto dell'integrazione di obiettivi, contenuti, metodi e valutazione potrebbe così fare riferimento al cosiddetto "curricolo esplicito", mentre sotto la superficie, dentro la parte sommersa dell'iceberg, troverebbe posto il cosiddetto "curricolo latente" o implicito - fatto cioè di "tutto ciò che ... viene trasmesso dalla scuola senza piena consapevolezza e comunque senza che sia riconosciuto apertamente ed ufficialmente" (Bertolini 1996).

 

 

 

Fig. 1 - Il curricolo esplicito e il curricolo latente

 

 

Questo curricolo, nascosto ma non per questo meno importante, condiziona in modo sostanziale la realizzazione delle competenze e delle prestazioni “di superficie”: si tratta di tutte quelle forze, interne ed esterne all’individuo, che condizionano l’apprendimento (e naturalmente l’insegnamento). Stiamo dunque parlando non dei fini, dei risultati, dei prodotti, ma della dinamica di fattori e di operazioni che permettono di raggiungere quei fini, quei risultati, quei prodotti – ciò che invito a chiamare processi.

 

Proprio questa zona sommersa conviene dunque esplorare, allo scopo di mettere in luce tutti i fattori di processo che condizionano la realizzazione della competenza.

 

Proviamo ad esemplificare la possibile interazione di questi fattori nello svolgimento dell'attività comunicativa di lettura appena citata ("E' in grado di riconoscere le informazioni significative in articoli di giornale a struttura lineare, che trattino argomenti familiari"). Supponiamo che lo studente (o comunque l'utilizzatore della lingua) debba affrontare un articolo di giornale, con le caratteristiche citate nel descrittore, che sia corredato da qualche fotografia con le relative didascalie. Nel caso si tratti di un esercizio o di un test, il testo in questione sarebbe presumibilmente accompagnato da una serie di domande, chiuse (ad esempio, a risposta multipla) o (semi)-aperte, che dovrebbero esercitare e/o verificare un'abilità di lettura che in questo caso si configura come lettura globale (skimming), volta cioè a estrarre le informazioni principali contenute nel testo. La prestazione fornita dallo studente nell'esecuzione di questo specifico compito verrebbe così a configurarsi come indicatore del possesso della competenza segnalata dal relativo descrittore.

 

Che cosa deve succedere all'interno della persona perchè si produca questa prestazione? Un'attività comunicativa di ricezione della lingua scritta mette in moto dei processi di apprendimento molto sinteticamente descrivibili in termini di fasi (una pianificazione, in cui si selezionano il contesto e la conoscenza del mondo rilevante per il testo in questione, si attivano i relativi schemi, si creano delle aspettative; un'esecuzione, in cui si identificano indizi nel testo per attuare per il loro tramite delle inferenze; una valutazione, in cui si verificano le ipotesi di significato confrontando gli indizi con gli schemi; e infine un'eventuale riparazione, in cui si creano ipotesi alternative nel caso le precedenti si fossero dimostrate inadeguate).

 

Questi processi cognitivi possono essere facilitati, ottimizzati e velocizzati tramite la messa in opera di opportune strategie di apprendimento, che sono appunto i passi concreti, le operazioni, le azioni specifiche con cui si può cercare di risolvere problemi che non si possono affrontare con comportamenti automatizzati, "di routine" 1. Le strategie a disposizione delle singole persone funzionano in un certo senso da "ponte" tra i processi sottostanti e la concreta prestazione da realizzare, hanno un ruolo di "obiettivi strumentali" e uno status di abilità operative e procedurali. Esse variano naturalmente molto in quantità e qualità, e possono concretizzarsi in una vasta gamma di comportamenti diversi, come, ad esempio, per gli scopi del compito in questione:

 

§         guardare le fotografie che accompagnano l'articolo e leggere le didascalie;

§         leggere i titoli e i sottotitoli;

§         prestare particolare attenzione alle convenzioni tipografiche e all'uso dei caratteri (corsivo, neretto, ecc.);

§         porsi domande sull'argomento richiamando le proprie precedenti conoscenze;

§         richiamare alla mente la struttura organizzativa peculiare al tipo di testo;

§         considerare con attenzione l'inizio di ogni paragrafo;

§         cercare parole-chiave; ecc.

 

Tuttavia, non tutte le strategie elencate (e le molte altre possibili) potranno essere attivate da tutti gli studenti nello stesso identico modo, ma solo nella misura in cui esse si addicono alle proprie preferenze personali di apprendimento, e in particolare al proprio stile cognitivo. In altre parole, le differenze individuali (espresse da una varietà di fattori, tra cui stili, "intelligenze", attitudini) funzionano da "filtro": le persone con una preferenza visiva verbale, ad esempio, potranno più agevolmente accostarsi a questo compito di lettura rispetto alle persone con preferenza uditiva; i "visivi-non verbali" potranno forse sfruttare meglio le fotografie e gli elementi grafici del testo; le persone con una spiccata tendenza "globale, casuale, intuitiva" potranno trovare questo compito di lettura, appunto, "globale", più semplice da gestire rispetto a persone con una tendenza di tipo più "analitico, sequenziale, sistematico".

 

Tuttavia, anche l'attivazione di strategie è a sua volta condizionata, come è illustrato nel nostro iceberg, da fattori di processo ancora più profondi e nascosti, ed in particolare dalle convinzioni o rappresentazioni mentali, spesso inconscie o vagamente percepite, che le persone posseggono, tra l'altro, nei confronti della lingua, della comunicazione, della cultura, dei processi di apprendimento e insegnamento, dei ruoli che in questi processi devono o possono svolgere studenti e insegnanti (Wenden 1986, Wenden 1991, Woods 1996). A queste convinzioni sono indissolubilmente legati degli atteggiamenti conseguenti, ossia delle risposte affettivo-motivazionali che condizionano pesantemente le decisioni che le persone prendono e, in definitiva, i comportamenti che esibiscono. Ad esempio, nel nostro caso, per attivare in modo proficuo le strategie di cui abbiamo fornito alcuni esempi occorre che la persona sia convinta (o sia per lo meno disposta a tollerare)

 

§         che esistono diversi modi per leggere un testo;

§         che per certi scopi non è necessario capire ogni singola parola;

§         che ciò che il lettore porta al testo (le sue conoscenze ed esperienze precedenti) è altrettanto importante di ciò che il testo rimanda al lettore;

§         che si possono ricostruire i significati costruendo, verificando e rivedendo ipotesi; e così via.

 

A queste convinzioni devono potersi associare degli atteggiamenti congrui: la persona ha bisogno, ad esempio, di sentirsi preparata a correre rischi, il che implica la necessità di tollerare l'ambiguità e l'ansietà derivanti dal non poter afferrare subito tutti i significati precisi, e di essere disposta ad affrontare alternative, come cambiare strategia se quella adottata non si è rivelata la più opportuna 2.

 

Questa dunque potrebbe essere una possibile descrizione del nostro "iceberg del curricolo". Ma gli iceberg vanno di rado da soli – di solito fanno parte di un gruppo più o meno definito. E anche lo studente non impara da solo, anzi, a scuola impara in un ambiente di apprendimento intenzionale e istituzionale. E' dunque condizionato dagli altri iceberg, compreso quello dell’insegnante che lavora (saremmo tentati di dire “impara”) insieme allo studente, in classe. I rapporti tra compagni, tra studenti e insegnanti, o, in termini più tecnici, le dinamiche relazionali, i “climi” e le “culture” di classe, fanno parte di buon diritto di questa sfera dei processi, perché sono parte integrante delle procedure messe in atto da tutti questi protagonisti, ognuno nel proprio ruolo, da una parte, per imparare, e dall’altra parte, per facilitare l’apprendimento.

 

Il curricolo "latente" condiziona così in modo decisivo la realizzazione del curricolo "esplicito". In questa prospettiva, la classica netta distinzione tra prodotto e processo tende dunque ad assottigliarsi: la competenza è sì il risultato di un processo, ma i fattori di processo si "incarnano" e si "integrano" nella realizzazione stessa della competenza. Purtroppo i processi, così come li abbiamo fin qui definiti e illustrati, rimangono spesso troppo in ombra a scuola, continuano ad essere un’”area grigia”. Scriveva qualche tempo fa Roberto Fiorini (2000) della necessità di “attenersi al verificabile e visibile”, e nello stesso tempo della necessità di “assicurare che ciò che resta del lavoro didattico – ciò che resta in parte fuori dal giorno dei parametri verificabili e certificabili – pur rimanendo nella penombra, costituisca la base certa della formazione di quelle generazioni per cui domani sarà pieno giorno”. Io vorrei spezzare una lancia affinché ciò che rimane nella penombra sia portato alla luce già oggi, nel vivo del lavoro di classe, perché a queste generazioni di studenti sia data la possibilità di sperimentare e godere del pieno giorno, per quanto possibile, già oggi, nel qui e ora, nella lezione di inglese della terza ora del mercoledì piuttosto che nella lezione di storia della prima ora del sabato: in altre parole, affinché l’”area grigia” non sia più grigia ma il più colorata possibile.

 

 

Oltre l'opposizione sommativo/formativo

 

E' a questo punto che conviene riconsiderare anche il concetto di valutazione. Anche per questo concetto si è soliti distinguere tradizionalmente tra valutazione sommativa e valutazione formativa - e, sia pure a larghe linee, si potrebbe correlare la prima al curricolo "esplicito" (gli esiti, le competenze, la parte emersa del nostro iceberg) e la seconda al curricolo "latente" (i processi, la parte sommersa dell'iceberg). La valutazione sommativa infatti

 

§         verifica l'acquisizione di conoscenze e competenze;

§         è puntuale (perchè si attua in punti di snodo di un percorso, come la fine di un modulo, di un anno scolastico, di un ciclo, o di un percorso che porta anche alla possibilità di una certificazione);

§         si attua su prestazioni osservabili in quanto indicatori di competenza (ad esempio, il contenuto di un esame, di un test, di una verifica);

§         riguarda contenuti espliciti, spesso specificati in programmi o sillabi;

§         usa strumenti più formalizzati, che consentono spesso anche una misurazione in termini relativamente più oggettivi;

§         implica scelte e modalità di controllo generalmente esterne allo studente, e riservate per lo più all'insegnante o esaminatore.

 

In questo senso la certificazione possiede tutte le caratteristiche della valutazione sommativa. Ritornando al nostro esempio del paragrafo precedente, la competenza di lettura potrebbe essere verificata e certificata tramite un test a risposta multipla. "Un eventuale risultato positivo del test potrebbe essere considerato come indicatore, sia pure relativo, di possesso della competenza, ma non dice nulla riguardo al percorso che lo studente ha compiuto, sia per costruire gradualmente quella competenza, sia per riuscire a dimostrarne il possesso in sede di verifica. In altre parole, spesso chi verifica una competenza è relativamente poco interessato al processo sottostante" (Mariani et al. 2004).

 

Per fare un altro esempio, se volessimo verificare una competenza del tipo "E' in grado di partecipare a brevi conversazioni in contesti abituali su argomenti di suo interesse" (AA.VV. 2002, Conversazione, Livello A2), potremmo chiedere ad una coppia di studenti di dialogare brevemente su un tema che sia loro familiare (ad esempio, come passano il tempo libero). "Se lo scambio comunicativo ha successo, naturalmente entro i limiti e i parametri stabiliti per il livello in questione, in sede di valutazione sommativa, per esempio in sede di certificazione, saremmo più interessati a constatare il prodotto (cioè l'esecuzione positiva del compito affidato) più che il processo seguito dai due studenti per realizzare quel prodotto (ad esempio, le strategie comunicative messe in atto)" (Mariani et al. 2004).

 

La valutazione formativa d'altro canto

 

§         utilizza le opportunità di verifica anche e soprattutto per fornire a tutti gli interessati al processo di formazione (e in primo luogo allo studente) un feedback, cioè informazioni "di ritorno" su come sta procedendo l'apprendimento;

§         è continua, si svolge in itinere, in modo longitudinale, durante tutto il percorso di formazione;

§         riguarda non soltanto i contenuti espliciti, ma anche quei fattori di processo che, come si è visto, non sono magari direttamente osservabili ma sono comunque passibili di indagine;

§         usa di conseguenza strumenti meno formalizzati, sia quantitativi che qualitativi: ai test si aggiungono così interviste, questionari, resoconti, schede di autovalutazione, diari di bordo, e così via;

§         implica un coinvolgimento più diretto dello studente poichè spesso assegna un ruolo decisivo all'autovalutazione.

 

L’attendibilità della valutazione formativa è data da diversi fattori concomitanti: per esempio, la possibilità di raccogliere dati su un arco di tempo medio-lungo e in svariate circostanze; la possibilità di confrontare dati provenienti da fonti diverse e da osservatori diversi; la possibilità di organizzare e interpretare dati in evoluzione da parte dello studente stesso, oltre che da parte dell’insegnante.

 

In questo senso il portfolio può essere considerato come uno strumento di valutazione sia sommativa che formativa. Alcune sue parti, infatti, e in modo particolare il Passaporto3, registrano, sia pure tramite la specifica modalità dell'autovalutazione, essenzialmente i livelli raggiunti al termine di fasi della formazione, le qualifiche ottenute, le esperienze svolte - con l'evidente finalità di rendere questo tipo di informazioni "pubbliche", ossia disponibili e trasparenti anche all'esterno. Altre parti del portfolio, e in particolare la Biografia, ma anche il Dossier, sono invece fortemente centrate sulla documentazione dei percorsi, e hanno dunque, almeno potenzialmente, una valenza formativa più spiccata perchè invitano alla riflessione critica e alla presa di coscienza, non solo di cosa e di quanto si impara, ma anche di come si impara, cioè delle proprie caratteristiche personali in quanto studente.

 

Il Quadro ci fornisce, da questo punto di vista, alcune indicazioni molto esplicite, sottolineando che la forza della valutazione formativa, che è quella di potenziare l'apprendimento, si accompagna alla sua debolezza, che è quella di fare spesso molta fatica a restituire allo studente le informazioni di ritorno:

 

"La restituzione funziona solo se chi riceve le informazioni è in condizione di (a) tenerne conto, vale a dire se è attento, motivato e conosce le modalità con cui le informazioni vengono date, (b) recepirle, vale a dire non è sopraffatto da troppe informazioni, ha modo di registrarle, organizzarle e farle proprie, (c) interpretarle, vale a dire dispone di sufficienti conoscenze e della consapevolezza necessaria per comprendere in cosa consistano e per evitare reazioni inopportune, e (d) interiorizzarle, vale a dire ha il tempo, la disponibilità e le risorse occorrenti per riflettere sulle

informazioni che riceve, integrarle in quelle che già possiede e ricordarle. Tutto ciò implica autonomia, e quindi formazione all'autonomia, controllo del proprio apprendimento e sviluppo di modalità di azione che tengano conto delle informazioni ricevute" (AA.VV. 2002).

 

E' una bella sfida, si dirà. Ma è la sfida che ogni strumento di valutazione formativa, e in particolare uno complesso come il portfolio, deve accettare nella piena consapevolezza dei benefici ricavabili, ma anche delle risorse di tempo e di energie che è necessario mettere in campo.

 

E' però forse opportuno fare a questo punto un passo in avanti e vedere quanto la classica distinzione tra sommativo e formativo possa essere, se non cancellata, almeno rimessa in discussione. Intanto occorre ricordare che ogni atto di valutazione si situa su un continuum tra questi due poli opposti: un test a risposta multipla utilizzato per una verifica finale potrebbe avere un certo grado di valenza formativa, come, d'altronde, una valutazione formativa in itinere può fornire anche elementi di accertamento degli esiti che stanno maturando. Qual è, dunque, il fattore critico e cruciale che, al di là delle etichette formali, può qualificare un atto di valutazione come formativo? Ritengo che, in linea con la citazione appena prodotta dal Quadro, questo fattore sia da ricercare proprio nel grado in cui le attività di valutazione riescono a fornire allo studente un feedback, cioè delle informazioni di ritorno, che sia sufficientemente esplicito e fruibile dallo studente stesso per orientare il percorso di apprendimento che sta personalmente compiendo.

 

Si capisce allora come la preparazione ad un esame di certificazione possa comprendere anche momenti di valenza formativa, e come l'esame stesso possa contribuire alla riflessione critica dello studente sui risultati ottenuti e sui percorsi seguiti. Ma perchè questo accada occorrerebbe che il feedback per lo studente non consistesse solo in un voto o in un giudizio sommario, ma comprendesse anche informazioni, ad esempio, sulle strategie, positive o negative, adottate durante la verifica, o sulle aree di maggiore forza e debolezza, o su qualsiasi altra caratteristica personale potesse utilmente essere rilevata e comunicata allo studente stesso. E' possibile ripensare alle certificazioni anche in questa dimensione e in questa prospettiva?

 

D'altronde, potrebbe già essere necessario riconsiderare anche il portfolio in modo critico in quanto possibile strumento di valutazione sia sommativa che formativa. Troppo spesso, a mio parere, viene enfatizzata la funzione formativa del portfolio senza approfondire quali scelte metodologiche e azioni didattiche sono rese necessarie, anzi, indispensabili, per realizzarne pienamente ed effettivamente queste valenze. Da questo punto di vista, non tutti i portfolii sono uguali, non tutti danno la stessa visibilità ai fattori di processo che abbiamo visto essere parte integrante dello sviluppo della competenza. Occorre che strategie e stili di apprendimento, ma anche convinzioni, atteggiamenti, motivazioni, siano più esplicitamente fatti emergere e documentati in modo più trasparente. Non basta fornire qualche spunto isolato di riflessione. Sia gli studenti che i loro insegnanti hanno bisogno di supporti, sia all'interno dei portfolii che nelle guide e nei materiali di accompagnamento, che aiutino entrambi a mettere in atto questa esplorazione di come procedono i processi in modo integrato all'esplorazione di come si sviluppano le competenze 4.

 

Ma anche la funzione del portfolio in quanto strumento di valutazione sommativa può essere riconsiderata. L'autovalutazione è certamente il cardine su cui si costruisce un portfolio, ma autovalutazione non significa certo chiusura nei confronti di giudizi esterni: il giudizio personale ha anzi bisogno di confrontarsi con quello dei propri pari, dell'insegnante e, volendo, anche di esaminatori esterni. Si tratta di verificare le proprie percezioni di competenza (in cui consiste sempre ogni atto di autovalutazione) con i test di realtà rappresentati dal giudizio degli altri:

 

"D'altronde è il discente stesso che può trovarsi confortato da una convalida formale perchè non bisogna fraintendere il senso del termine autovalutazione ... I teorici dell'autovalutazione sottolineano tutti la necessità di una covalutazione, soprattutto nel campo delle lingue dove, dopo aver dato il primo posto alla comunicazione, sarebbe perlomeno paradossale condannare il discente ... all'autismo! La certificazione potrebbe diventare un modo (tra altri) di autovalutarsi, ben più che una sanzione, a condizione che la trasparenza esista non soltanto per i datori di lavoro, ma per il candidato stesso e che il tipo di valutazione aderisca al più presto ai suoi obiettivi" (Monnerie-Goarin 1993).

 

Se dunque dal punto di vista della valutazione portfolio e certificazione possono essere considerati strumenti complementari o sovraordinati uno all'altra (il portfolio include la certificazione), da un altro punto di vista potrebbero invece essere visti come potenzialmente alternativi. Per sviluppare questa ultima riflessione abbiamo bisogno di fare riferimento ad un fattore di processo situato più in profondità nel nostro icerberg, e dunque tra i più importanti e incisivi - la motivazione.

 

 

Oltre l'opposizione estrinseco/intrinseco

 

Si sente spesso dire che portfolio e certificazione aumentano la motivazione allo studio delle lingue, ed anzi, si afferma che una delle finalità più importanti di questi strumenti di valutazione è proprio di stimolare gli studenti ad apprendere meglio e di più. Si citano, a sostegno di questa affermazione, la curiosità e perfino l'entusiasmo con cui molti studenti accolgono i progetti centrati sul portfolio, il rinnovato impegno a documentare le loro esperienze, la serietà con cui molti di loro affrontano la difficile sfida dell'autovalutazione. Per quanto riguarda le certificazioni, è noto l'interesse che suscita negli studenti, e ancor più nei genitori, la possibilità di ottenere qualifiche riconosciute da inserire nei curriculum o da far valere come crediti formativi; ma si rileva anche spesso l'impegno con cui gli studenti accettano il lavoro di preparazione agli esami, la sfida rappresentata dal confrontarsi con esaminatori di madrelingua esterni alla scuola (e il conseguente possibile aumento dell'autostima - naturalmente in caso di successo), il trasferimento di questo rinnovato interesse per le lingue anche nello studio quotidiano, non necessariamente legato alla preparazione ad un esame; e, non da ultimo, la stessa ricaduta motivazionale su molti insegnanti, che dal successo dei loro studenti e dal confronto con l'esterno possono trarre comprensibili e legittimi motivi di soddisfazione professionale.

 

Ciò che generalmente si omette di considerare è che questi comportamenti e questi atteggiamenti positivi, anzi più che auspicabili, fanno riferimento a due tipi molto diversi di motivazione, che secondo una distinzione classica chiamiamo intrinseca ed estrinseca. La motivazione intrinseca è connessa al piacere e alla soddisfazione che provoca lo svolgimento di un'attività in sé e per sé: il gusto di leggere o di scrivere, il piacere di conversare, ma anche il coinvolgimento profondo nel costruire qualcosa di personale. Da questo punto di vista, la costruzione e la gestione di un portfolio dovrebbero costituire esempi addirittura eclatanti di motivazione intrinseca. Che altro vogliamo dire quando affermiamo con forza che il portfolio appartiene allo studente (e che pertanto non deve contenere assolutamente nulla che sia di esclusiva provenienza degli insegnanti o della famiglia, come schede di osservazione, pagellini, commenti o rilevazioni derivanti da colloqui insegnanti-genitori ...)? Che altro vogliamo dire quando affermiamo che con il portfolio vogliamo stimolare il senso di autostima e il senso di responsabilità, che desideriamo che i nostri studenti sentano la soddisfazione, e se possibile perfino l'orgoglio di gestire autonomamente la documentazione delle loro avventure linguistiche e culturali?

 

D'altro canto, non possiamo dimenticare che un portfolio può essere utilizzato a vari scopi, anche di carattere dimostrativo e certificativo, e dunque per un insieme di ragioni riconducibili ad un tipo di motivazione più estrinseca: posso allora gestire un portfolio per documentare all'esterno la mia preparazione, per facilitare il mio trasferimento in un'altra scuola, o anche, più semplicemente, per fare piacere ai miei genitori o al mio insegnante ... Sappiamo che i due tipi di motivazione non si escludono reciprocamente, anzi possono essere presenti entrambi, e insieme contribuire ad un atteggiamento di disponibilità verso l'uso di questo strumento. "Le motivazioni non sono fisse e arriviamo ad acquisire nuove motivazioni per agire man mano che impariamo nuove ragioni di ciò che facciamo" (Ausubel 1968).

 

Occorre anche riconoscere, in questa prospettiva, che la certificazione è, in primo luogo, un esempio altrettanto eclatante di motivazione estrinseca, in quanto lo studio di una lingua è motivato innanzitutto dal desiderio di passare un esame, ottenere una qualifica riconosciuta, e poter quindi disporre di un titolo da far valere in più sedi e in occasioni diverse. L'apprendimento ha dunque un valore più strumentale e una finalizzazione in un certo senso "esterna" alla persona - e da questo punto di vista la certificazione è alternativa al portfolio. Vale però anche in questo caso l'osservazione che abbiamo appena fatto, e cioè che i tipi di motivazione non sono mutualmente esclusivi, ed anzi, che ciò che forse più conta è la presenza e l'intensità della motivazione prima ancora che la sua origine precisa.

 

In un certo senso, dunque, come abbiamo cercato di costruire un ponte tra valutazione sommativa e valutazione formativa, superando la contrapposizione "classica" tra questi due concetti, oggi è forse anche il caso di tentare di costruire ponti anche nell'ambito di quest'altra "classica" opposizione tra motivazione intrinseca e motivazione estrinseca.

 

 

Integrare le certificazioni nel curricolo

 

La tematica della motivazione ci induce però ad un'ultima serie di osservazioni, che rimanda anche al ruolo istituzionale che possono avere portfolio e certificazione. Il portfolio sta trovando la sua ragion d'essere e di crescere nell'ambito della progettazione didattica di ogni singola scuola e di ogni singola classe: una delle sfide più produttive ma anche più difficili del portfolio è proprio la necessità di ancorarsi strettamente alle attività didattiche quotidiane, in modo da integrarsi alle diverse dimensioni del curricolo che abbiamo già messo in risalto.

 

A mio parere, anche la certificazione avrebbe bisogno di un simile processo di aggiustamento. Troppo spesso la certificazione ha carattere esterno alle dimensioni prettamente curricolari. Questo è dovuto innanzitutto ad alcuni ovvi motivi: è gestita da enti esterni alla scuola; provoca un ritorno di immagine per dirigenti, insegnanti e scuole sempre più preoccupate di poter essere concorrenziali sul mercato della formazione; comporta una preparazione ai relativi esami spesso fatta in ore extracurricolari. Ma ancora di più, occorre considerare che  le certificazioni esterne possono costituire

 

"l'inizio della fine della tradizionale auto-referenzialità del sistema scolastico. Offrire certificazioni significa accettare che qualcuno, dall'esterno, misuri e valuti la capacità di una scuola di far imparare una lingua straniera agli alunni. L'esterno non è un "educatore", ma un "misuratore" che per natura professionale non valuta progressi, nè esprime giudizi che tengano conto della caratteristiche del territorio, dell'utente, delle difficoltà eventualmente da lui incontrate durante il corso di studi. Egli fotografa una realtà in un dato momento e ne misura il livello, riferendolo ad un Framework esterno uguale per tutti, che vale allo stesso modo in qualsiasi momento in qualunque contesto" (Lucietto 2004: 51).

 

Queste importanti considerazioni chiariscono a mio avviso molto bene le caratteristiche distintive delle certificazioni rispetto alle caratteristiche distintive di un curricolo formativo. Proprio per questo, però, ci inducono anche a porre con forza il problema dell'integrazione, nel senso più profondo che si può dare a questa parola, con le dimensioni costitutive del curricolo, che, ricordiamolo ancora una volta, non si esaurisce nella sua dimensione esplicita (fatta di obiettivi, contenuti, metodi e valutazione), ma comprende anche quella dimensione latente (fatta di processi: strategie, stili, convinzioni, atteggiamenti, motivazioni) che ha sempre avuto poca visibilità nella scuola e che un massicio ricorso alle certificazioni esterne rischia a mio avviso di rendere ancora meno visibile e trasparente. E' in gioco, insomma, il valore formativo complessivo del curricolo, e in particolare dell'educazione linguistica, che oggi si arricchisce di importanti valenze legate in particolare al plurilinguismo e alla pluriculturalità.

 

Ma nell'ottica di superamento delle opposizioni, con cui ho sviluppato questo mio contributo, vorrei sottolineare un fatto troppo spesso dimenticato, e cioè che le certificazioni possono essere sia esterne che interne alla scuola, e che questi due tipi di certificazione hanno, ciascuna per proprio conto, uno scopo e una validità particolari ed indipendenti, a seconda dei contesti, dei soggetti interessati, dei momenti in cui si attuano. Come alcuni progetti di ricerca azione hanno dimostrato, ad esempio (Magnasco e Pulvirenti 2002), è possibile integrare in modo proficuo certificazioni interne ed esterne, prevedendo in certi momenti del percorso curricolare quelle interne (a solo titolo di esempio, alla fine di un modulo o di un anno scolastico) e in altri momenti quelle esterne (ad esempio, alla fine di un ciclo di istruzione).

 

L'introduzione di certificazioni interne può avere importanti effetti retroattivi sulla progettazione curricolare, in cui obiettivi, contenuti, metodologie e modalità di valutazione potrebbero essere più strettamente correlati alle indicazioni del Quadro (senza necessariamente dover lavorare nell'ottica delle certificazioni, che del Quadro non costituiscono certo l'unica applicazione concreta). Importanti effetti retroattivi potrebbero investire anche il lavoro cooperativo degli insegnanti e la  promozione della continuità tra cicli scolastici. Si obietterà che le scuole non hanno nè le risorse, umane e finanziarie, nè l'esperienza per assicurare validità e affidabilità ad un processo di certificazione interna. Ma se si vuole riconoscere il ruolo e l'importanza di una certificazione strettamente integrata al curricolo di una scuola, non si può privare quella stessa scuola del diritto-dovere di attuare una sua certificazione all'interno delle sue procedure di valutazione. Certamente se non si metteranno le scuole in condizione di sperimentare progetti in questo senso, le scuole non acquisiranno mai la relativa competenza, e si innesterà un circolo vizioso per cui l'incapacità non produrrà esperienze e la mancanza di esperienze perpetuerà e aggraverà l'incapacità.

 

 

Conclusione: un ponte tra apprendimento e valutazione

 

Il superamento delle opposizioni competenza/processo, sommativo/formativo, estrinseco/intrinseco, esterno/interno ha una portata più generale, perchè in fondo ci porta a saldare più strettamente le due dimensioni-cardine di un curricolo: l'apprendimento e la valutazione. E' forse qui che il portfolio dimostra più chiaramente il suo ruolo centrale nel curricolo. Una delle sue valenze pedagogiche più importanti è proprio quella di rendere l'(auto)valutazione un momento strettamente integrato all'apprendimento. Non si aspetta più soltanto la fine di un'esperienza per farla valutare da qualcun altro: si riflette sull'esperienza e la si documenta man mano che l'esperienza stessa procede. La persona che apprende impara così a fare della sua autovalutazione e della valutazione di altri una condizione essenziale del suo stesso procedere nel percorso di apprendimento. La trasparenza di questa operazione va ben oltre la visibilità "istituzionale" auspicata dal mondo della formazione e dal mercato del lavoro - può costituire un nuovo paradigma di costruzione delle conoscenze, a scuola e per la tutta la vita.

 

 

N.B. La prima versione di questo contributo è stata presentata al Convegno Internazionale “Qualità nell’Apprendimento delle Lingue Straniere”, organizzato a cura dell'Istituto Provinciale per la Ricerca, l'Aggiornamento e la Sperimentazione Educativi (IPRASE) di Trento, e tenutosi a Rovereto il 22 e 23 Gennaio 2004 (atti in corso di pubblicazione).

 

 

Note

 

1. Il ruolo delle strategie (di apprendimento, di azione comunicativa, di mediazione interculturale) è tutto sommato ancora un po’ ambiguo: appartengono più alla sfera dei processi o a quella delle attività comunicative in cui si attualizzano le competenze? Il Quadro situa le strategie subito dopo le scale illustrative di ogni attività linguistico-comunicativa (AA.VV. 2002: 71 e segg.), dedicando ai processi linguistico-comunicativi il successivo paragrafo (112 e segg.). Si noti anche che a seconda di dove vengono situate le strategie, si potrebbe aprire un’altra questione molto intrigante, e cioè se le strategie debbano fare oggetto di valutazione sommativa al pari delle competenze che esse aiutano a raggiungere. In altre parole, si dovrebbe valutare la gamma delle strategie con cui si arriva a comprendere un testo, o basterebbe dimostrare che il testo in ultima analisi è stato compreso? Si dovrebbero valutare i modi in cui si è riusciti a tenere aperta una conversazione, o basterebbe dimostrare che in ultima analisi questa conversazione è stata tenuta aperta? (Sul ruolo delle strategie nel contesto di un curricolo per il saper apprendere si veda Mariani 2000; sul saper apprendere o capacità di imparare nel contesto del Quadro si veda Mariani 2004; per una proposta di repertori per la descrizione della capacità di imparare come metacompetenza si veda il sito, a cura dell'Autore, www.learningpaths.org/Articoli/competenzeprocessi.htm) Torna al testo

2. Il Quadro cita convinzioni, atteggiamenti e motivazioni, insieme a valori, stili cognitivi e fattori di personalità come componenti della competenza esistenziale (savoir-etre), una delle “competenze generali” (AA.VV. 2002: 130). Torna al testo

3. Ricordo molto sinteticamente che il Portfolio Europeo delle Lingue si articola in tre parti: il Passaporto delle Lingue è una visione d’insieme delle competenze raggiunte in ogni lingua, con l’indicazione dei livelli raggiunti, dei certificati ottenuti e delle esperienze extra-curricolari svolte; la Biografia Linguistica contiene un sommario della propria storia linguistica personale, liste di controllo da usare per l’autovalutazione, e informazioni sia su piani futuri, sia sugli obiettivi già raggiunti; il Dossier è una raccolta di materiali che testimoniano le competenze raggiunte, con un elenco che le descrive e le classifica. Torna al testo

4. La scuola fornisce già agli studenti occasioni (sia pure molto diversificate per quantità e qualità) di esplicitare ciò che ho chiamato con il termine onnicomprensivo di “processi”: attività "di accoglienza”, “settimane di recupero", corsi o lezioni sul metodo di studio, questionari sugli stili o le strategie di apprendimento, schede di autovalutazione presenti nei libri di testo ... Però questi momenti sono il più delle volte "occasionali", nel senso che non c’è un filo conduttore che dia un senso di continuità a questo lavoro, sia per lo studente che per l’insegnante. Il concetto di portfolio (prima ancora che le sue realizzazioni concrete ed editoriali) potrebbe essere utilizzato proprio come anello di collegamento di tutti i momenti in cui a scuola si esplora l’evoluzione del proprio profilo dinamico personale. Torna al testo

 

 

Riferimenti

 

AA.VV. 2002. Quadro comune europeo di riferimento per le lingue: apprendimento, insegnamento, valutazione. Firenze: La Nuova Italia/Oxford University Press.

Ausubel, D. 1968. Educational psychology: A cognitive view. New York: Holt, Rinehart and Winston. (Trad. it. 1978. Educazione e processi cognitivi. Milano: Franco Angeli.)

Bertolini P. 1996. Dizionario di pedagogia e scienze dell'educazione. Bologna: Zanichelli.

Fiorini, R. 2000. “Nuclei fondanti e criteri di selezione dei contenuti prioritari”. Progettare la Scuola, Anno I, No. 7.

Lucietto, S. 2004. Certificazioni linguistiche in provincia di Trento. Trento: IPRASE.

Magnasco, P. e Pulvirenti, G. 2002. "Moving from language certification issued by international examinations boards towards internal certification". Perspectives, a Journal of TESOL-Italy, Vol. XXIX No. 1.

Mariani, L. 2000. “Saper apprendere: verso la definizione di un curricolo esplicito”. Lingua e Nuova Didattica, Anno XXIX, No. 4.

Mariani, L. 2004. "Learning to learn" in Morrow, K., Insights from the Common European Framework. Oxford: University Press.

Mariani, L. e  Pozzo, G. 2002. Stili, strategie e strumenti nell'apprendimento linguistico. Imparare a imparare. Insegnare a imparare. Firenze: La Nuova Italia, Collana LEND.

Mariani L., Madella, S., D'Emidio Bianchi R., Istituto "Borsi" di Milano 2004. Il portfolio a scuola. Una proposta operativa pluridisciplinare. Bologna: Zanichelli.

Monnerie-Goarin A. 1993. "Evaluation: quelques repères historiques". Francais dans le monde, No. spécial aout-septembre.

Wenden, A. 1986. "Helping language learners think about learning". English Language Teaching Journal, Vol. 40, No. 1.

Wenden, A. 1991. Learner Strategies for Learner Autonomy. Hemel Hempstead: Prentice-Hall.

Woods, D. 1996. Teacher Cognition in Language Teaching. Cambridge: University Press.

 

Home   Presentazione   Autoformazione   Collegamenti   Pubblicazioni   Rilassati ... con stile

 www.learningpaths.org   luciano.mariani@iol.it