LE STRATEGIE COMUNICATIVE INTERCULTURALI:

IMPARARE E INSEGNARE A GESTIRE L’INTERAZIONE ORALE

 

Italiano LinguaDue, vol. 3, n. 1, 2011, pp. 273-293 http://riviste.unimi.it/index.php/promoitals/article/view/1238

Luciano Mariani

 

 

"Il modo più semplice di dare l'impressione di avere un buon accento o di non avere alcun accento straniero è di tenere in bocca una pipa spenta, borbottare tra i denti e finire tutte le frasi con la domanda "vero?". Gli altri non capiranno un gran che, ma ci sono abituati e ne trarranno un'eccellente impressione."
 
George Mikes, How to Be an Alien

 

     Le strategie comunicative interculturali costituiscono utili strumenti per gestire numerosi aspetti dell’interazione orale in una lingua straniera (LS), in una lingua seconda (L2) e persino nella propria lingua materna (L1). Sono una componente essenziale della competenza di azione comunicativa interculturale, obiettivo basilare di un’educazione linguistica trasversale al curricolo e finalizzata, oltre che a fornire strumenti di comunicazione e mediazione, a dotare gli individui e i gruppi dei mezzi per sviluppare competenze sociali e civiche – tutte competenze-chiave per l’apprendimento permanente identificate della Raccomandazione del Parlamento Europeo (2006), e indispensabili per promuovere l’effettivo esercizio di una cittadinanza attiva e responsabile in ambienti multilingui e pluriculturali.

In questo contributo vorrei innanzitutto descrivere la natura, le funzioni e i contesti di utilizzo delle strategie communicative interculturali, proporne una possible tipologia e discutere le variabili che ne condizionano la scelta e l’uso. Illustrerò quindi una serie di implicazioni pedagogiche e didattiche e concluderò con alcuni esempi di materiali e attività volte a promuovere l’apprendimento e l’insegnamento delle strategie nel quadro di interventi di educazione linguistica integrata e trasversale al curricolo.

 

1. ESEMPI DI STRATEGIE COMUNICATIVE INTERCULTURALI

Invito il lettore a considerare con attenzione questi esempi di interazione tra un interlocutore di L1 (A) e un interlocutore di LS/L2 (B): che tipo di problemi sembra sperimentare B? Che tipo di strategie sembrano utilizzare A e B, insieme, per gestire l’interazione in ciascun caso?

1.  B: Scusi?

A: Sì, dica.

B: Vorrei un … un … tire-bouchon

A: Come?

B: Un … la cosa per aprire una bottiglia di vino …

A: Un cavatappi?

B: Sì.

 

2.  A: Non giri a destra subito, prenda la seconda, poi subito a sinistra, alla rotonda a destra …

     B: Scusi, può parlare più piano?

     A: Dicevo … prenda la seconda sulla destra, poi subito dopo la prima strada a sinistra, e giri a destra alla rotonda.

     B: Allora, seconda destra, poi sinistra, poi destra … giusto?

A: Esatto.

 

3.  B: Vorrei … due di questi  (addita)

A: Due cannoncini al cioccolato?

     B: No (scuote la testa e guarda di lato) … bianchi …

A: Ah, alla panna.

 

4.  B: Gli ho detto che Maria è una zitella.

A: Sì, ma stai attento … non dire zitella …

B: Ho sbagliato?

     A: Mah … è una parola che ha delle connotazioni negative. Mi segui?

B: Sì, capisco.

A: Insomma, potresti offendere qualcuno.

B: Allora cosa devo dire?

A: Beh, per esempio … non è sposata …

 

5.  A: Certo che anche per Hussein deve essere stata dura all’inizio, appena arrivato in Italia, e poi c’è da dire che …

B: Scusa, posso dire una cosa?

A: Sì, certo.

B: Anch’io ho avuto gli stessi problemi.

A: Eh,  ci credo. Ma che genere di problemi?

B: Beh, la lingua innanzitutto, e poi le abitudini così diverse …

A: Ah, certo. Ne hai sofferto molto?

B: Sì …

A: So che cosa vuoi dire. E quando hai cominciato a sentirti un po’ meglio?

    B: Mmm … vediamo … lasciami pensare … forse quando ho trovato il mio primo lavoro e …

    

 

     Ciò che accomuna questi esempi di interazione è

·         da una parte,  la presenza di problemi da parte di B, sia immediatamente percepiti, come in (1), (2) e (3), sia  fatti rilevare da A, come in (4); come vedremo meglio tra poco, la natura dei problemi in (5) è, almeno in parte, diversa;

·         dall’altra parte, l’utilizzo di strategie da parte di entrambi, in uno sforzo di collaborazione per negoziare significati e realizzare quindi un successo comunicativo.

Più in particolare, notiamo che in (1) B, a fronte dell’assenza di un termine nel suo repertorio lessicale attuale, tenta prima di ricorrere a pre-conoscenze in una L3 (francese), poi a una definizione centrata su una parola generica (cosa) seguita dall’indicazione dell’uso o funzione dell’oggetto in questione (per aprire …). Questi suoi sforzi sollecitano A a fornire il termine appropriato (cavatappi).

In (2) la velocità di eloquio di A, percepita come ingestibile da B, sollecita quest’ultimo a chiedergli aiuto, sotto forma di una richiesta di parlare più lentamente. A aderisce a questa richiesta, ripetendo le stesse informazioni. Ma si noti l’ulteriore strategia adottata da B, che ripete e riassume quanto ha appena capito, chiedendo ed ottenendo una conferma (giusto? … Esatto.).

L’esempio (3) illustra la dimensione non-verbale delle strategie, che possono giovarsi di gesti, espressioni del volto, contatti oculari, anche in combinazione con esponenti verbali. Anche in questo caso, A finisce per fornire i termini non ancora posseduti da B (cannoncini … alla panna), rendendogli così disponibile un importante input.

In (4) il problema viene sollevato da A, che intende rendere consapevole B di una sua apparente mancanza di sensibilità sociolinguistica (l’uso di un registro inadeguato al contesto). Anche in questo caso, A e B collaborano alla gestione del problema, il primo fornendo informazioni e il secondo dichiarando la sua disponibilità ad essere corretto (Ho sbagliato?) e sollecitando dal suo interlocutore il suggerimento delle forme linguistiche più appropriate (Allora cosa devo dire?).

L’esempio (5) sembra differenziarsi da quelli precedenti per un’apparente mancanza di problemi immediatamente evidenti. In realtà, anche in questo caso lo scambio comunicativo procede per successivi aggiustamenti in cui problemi generali di gestione dell’interazione vengono man mano affrontati e risolti con un uso accorto, anche se non sapremmo dire quanto consapevole, di strategie comunicative. Queste ultime permettono a B di prendere il turno di parola, interrompendo l’interlocutore in un momento appropriato (Scusa, posso dire una cosa?), ma anche di “guadagnare tempo” per formulare una risposta e “trovare le parole”, utilizzando “riempitivi”, “frasi fatte”, segnali di esitazione (Mmm … vediamo … lasciami pensare …). Dal canto suo, A svolge un importante ruolo di sostegno all’interazione, mostrando interesse ed empatia, ed incoraggiando il suo interclocutore ad andare avanti, sia facendo domande (Ma che genere di problemi? Ne hai sofferto molto? E quando hai cominciato a sentirti un po’ meglio?), sia aggiungendo commenti che segnalano condivisione emotiva (Eh, ci credo. Ah, certo. So cosa vuoi dire.).

 

2. NATURA E FUNZIONI DELLE STRATEGIE COMUNICATIVE

Come si è appena visto, il termine strategie comunicative copre in realtà una vasta gamma di comportamenti verbali e non-verbali, che svolgono funzioni diverse nell’ambito generale di aiutare a gestire l’interazione. In effetti, le definizioni date nella letteratura per questo genere di fenomeni linguistici spaziano da formulazioni del tipo “piani potenzialmente consapevoli per risolvere ciò che ad un individuo si presenta come un problema nel raggiungere un particolare scopo comunicativo” (Faerch e Kasper 1983: 36), in cui il fuoco è sulla natura “problematica” della situazione, che stimola l’uso di strategie, a formulazioni molto più ampie, come “tutti i tentativi di manipolare un sistema linguistico limitato allo scopo di promuovere la comunicazione” (Bialystok 1983: 102), in cui il “problema” sembra allargarsi fino ad includere, almeno potenzialmente, i modi stessi in cui si gestiscono le mosse comunicative nella conversazione, come si è avuto modi di illustrare nell’esempio (5) del paragrafo precedente.

Certamente l’originaria nozione di strategia comunicativa, e quella anche oggi più largamente diffusa, è centrata sulla risposta ad un problema dovuto ad un’insufficiente o comunque inadeguata padronanza dei codici linguistico-comunicativi, siano essi di natura fonologica, lessicale, sintattica, sociolinguistica/socioculturale o pragmatica. In altre parole, le strategie possono essere viste come compensative di una mancanza o limitazione della competenza linguistico-comunicativa, o, detto in altre parole,  come compensative rispetto allo stadio attuale dell’interlingua di chi sta apprendendo una LS/L2.

In contrasto con questa ottica di deficit, la nozione di strategia comunicativa si è allargata fino a comprendere i mezzi per gestire al meglio, e al limite anche per potenziare, l’interazione comunicativa in generale: in tale senso, le strategie comunicative sembrano sconfinare nelle strategie discorsive/conversazionali, e in qualche caso anche confondersi con esse, specialmente nelle pubblicazioni destinate ad insegnanti e studenti. In effetti, gli studi sulla comunicazione, e in particolare l’analisi del discorso e della conversazione, hanno spesso sottolineato il ruolo delle strategie per gestire eventi comunicativi che appartengono “normalmente” all’interazione orale (quali l’aprire e chiudere una conversazione, la gestione dei turni di parola, la facilitazione del flusso comunicativo), ma sui quali gli interlocutori possono in qualche modo aumentare il loro controllo proprio grazie all’uso consapevole di strategie [1].

Correlata a questa visione “allargata” della nozione di strategia comunicativa è la considerazione che l’uso di una strategia non è quasi mai un fenomeno strettamente individuale, ossia gestito in isolamento da chi percepisce un problema, ma si configura molto spesso come una manifestazione di uno sforzo condiviso tra gli interlocutori, che cercano in tal modo di addivenire ad un accordo non solo sui significati (in particolare quando le strutture di significato non sembrano essere condivise tra le parti), ma anche sugli atteggiamenti e sulle intenzioni comunicative. Questi sforzi congiunti tra interlocutori possono cioè essere visti come strategie cooperative, in cui giocano un ruolo decisivo la negoziazione e la mediazione.

A maggior ragione, questo aspetto di negoziazione e mediazione qualifica molte strategie comunicative come interculturali. Proprio la mancanza di una base condivisa di conoscenze, di atteggiamenti, di convenzioni socio-culturali e di relativi “saper fare” strategici, che nelle interazioni intra-culturali (tra interlocutori che condividono spesso, oltre ad una base culturale, anche una L1) agevolano la gestione delle situazioni comunicative, nelle interazioni in LS/L2 possono rendere tale gestione molto più complessa e impegnativa. In tali casi, strategie come chiedere all’interlocutore di essere corretti, accertarsi della correttezza dei propri enunciati e della propria interpretazione di eventi, scusarsi e cercare di correggere eventuali malintesi, e, più in generale, gestire l’incertezza circa i comportamenti socialmente accettabili nei vari contesti culturali,  costituiscono altrettanti esempi di tentativi di mediare tra lingue e tra culture, e come tali, sottolineano ancora una volta il carattere cooperativo e negoziale delle strategie.

Questa visione delle strategie come piani di azione condivisi tra interlocutori ci aiuta anche a mettere meglio a fuoco il significato interpersonale, affettivo e sociale delle interazioni (inter)culturali, che coinvolgono gli individui su più piani personali, e non limitano dunque l’incontro comunicativo ad un semplice trasferimento di informazioni o alla sola negoziazione di significati per creare una base di conoscenze condivisa (anche se queste funzioni restano di primaria importanza). In altre parole, e quasi paradossalmente, proprio l’inadeguatezza delle prestazioni linguistico-comunicative di uno o più interlocutori può sollecitare gli interlocutori stessi a riconoscere le proprie e le altrui limitazioni, rendendoli magari più disponibili, ad esempio, a dimostrare partecipazione ed empatia, a chiedere e fornire aiuto, a migliorare i reciproci sforzi di tenere aperta la conversazione. Il riconoscimento dell’”altro” e la tolleranza e la valorizzazione delle differenze, può passare anche per un uso non banale e non puramente “tecnicistico” di strategie comunicative: “in attività che richiedono un uso versatile di strategie comunicative, la marginalità può essere coltivata come una fonte di piacere e come un’espressione di amicizia nella diversità” (Rampton 1997: 293).

Concludendo questa rapida illustrazione della natura e delle funzioni delle strategie comunicative, ricordiamo che, nella letteratura sull’argomento, le strategie non sono sempre state considerate equivalenti a tutti i meccanismi di risoluzione dei problemi – in effetti la gestione dei problemi nella comunicazione ha assunto lo status di area di indagine distinta, entro cui le strategie costituirebbero una sorta di sotto-gruppo (Dörnyei e Scott 1997). In una prospettiva ancora più generale, le strategie sono anche state considerate come i mezzi “normali”, “standard” con cui si gesticono le interazioni orali: in questo senso, tutti gli usi linguistici sarebbero da considerare “strategici”, in quanto richiedono la costante selezione, tra le risorse disponibili all’individuo e in relazione ai contesti, di quelle che più si adattano in modo funzionale allo scopo da raggiungere [2].

 

3. L’INSEGNABILITA’ DELLE STRATEGIE

Questo diverso ruolo assegnabile alle strategie ha conseguenze importanti per i risvolti pedagogico-didattici, investendo in modo diretto la questione se le strategie possano e debbano essere insegnate. Infatti, se esse vengono considerate come un aspetto necessario e allo stesso tempo qualificante di ogni interazione comunicativa, si offusca molto il loro status particolare di piani consapevoli e in qualche misura “speciali” per la risoluzione di problemi. In merito sono state espresse posizioni estreme, come “Ciò che si deve insegnare agli studenti di una lingua non è la strategia, ma la lingua” (Bialystok 1990: 147), o “Insegnate ai discenti più lingua e lasciate che le strategie badino a se stesse” (Kellerman 1991: 158). Inerente a questa visione è la convinzione che le strategie siano le manifestazioni superficiali di processi cognitivi, come tali scarsamente insegnabili. In realtà, la distinzione tra strategia e processo è stata fatta oggetto da tempo di riflessione [3], e, mentre il livello dei processi è considerato più difficilmente indagabile e ancora più difficilmente suscettibile di interventi pedagogici, il livello delle strategie, proprio per la funzione che esse svolgono in quanto cerniera [4] tra processi profondi (invisibili) e prestazioni di superficie (più agevolmente osservabili), è stato fatto oggetto da tempo di iniziative specifiche e sistematiche nei percorsi di apprendimento linguistico.

Da un altro canto, si è fatto notare che coloro che apprendono una LS/L2 hanno già sviluppato una competenza strategica nella loro L1, e che l’eventuale intervento didattico dovrebbe limitarsi a fornire loro le forme linguistiche in LS/L2 che dovrebbero permettere di eseguire ciò che essi dovrebbero già saper fare in L1 [5].

In alternativa a questa visione, si potrebbe sostenere che la competenza risulta dallo sviluppo delle prestazioni, in particolare dalla pratica di compiti linguistici che, per la loro stessa natura, massimizzano il bisogno di strategie e il loro conseguente uso. In altre parole, compiti con una forte componente “strategica” potrebbero ottimizzare e velocizzare lo sviluppo della competenza proprio per le prestazioni che gli apprendenti sarebbero indotti a fornire. Inoltre, occorre chiedersi se e in quale misura le strategie siano effettivamente già sviluppate nella L1, condizione che non può darsi per scontata in tutti gli apprendenti. Infine, poiché anche il transfer tra lingue non è necessariamente automatico, si apre la questione di come promuovere un transfer esplicito di abilità e strategie nell’ambito del repertorio linguistico complessivo di una persona (che può comprendere, oltre alla sua L1, anche altre LS/L2). Come vedremo, queste considerazioni influiscono non poco sulla messa a punto di interventi didattici [6].

 

 

 

4. TIPOLOGIE DI STRATEGIE

Nell’ambito dell’originaria (e ancora ampiamente accettata) visione delle strategie comunicative come piani (potenzialmente) consapevoli per la gestione e soluzione di problemi, è importante la distinzione tra strategie di riduzione e strategie di realizzazione (Fig. 1, da Mariani 1994: 145).

                                                                    

                                                               Fig. 1 – Le strategie come comportamenti di risoluzione di problemi

 

In forma estremamente sintetica, possiamo dire che nell’apprendimento e nell’uso di una lingua, e segnatamente nelle interazioni orali, viene formulato un piano per raggiungere uno scopo comunicativo. Durante l’esecuzione di tale piano possono insorgere difficoltà legate al divario tra ciò che si vuole esprimere e i mezzi (linguistici, sociolinguistici e pragmatici) che si hanno a disposizione nell’attuale stadio della propria interlingua. Da un lato, il problema può essere affrontato tramite una strategia di riduzione (o evitamento): si cambia lo scopo originario, mantenendo il messaggio entro i limiti concessi dalle risorse disponibili, e si adattano i propri fini ai propri mezzi, evitando possibili rischi. Da un altro lato, è anche possibile adottare una strategia di realizzazione: tenendo inalterato lo scopo originario, si sviluppa un piano alternativo, che tende a sfruttare al massimo e al meglio le proprie risorse, si adattano i propri mezzi, espandendoli, ai propri fini, accettando di correre i rischi conseguenti.

Si adottano strategie di riduzione, ad esempio, evitando un argomento di cui non ci si sente sufficientemente sicuri; abbandonando un messaggio, concludendolo rapidamente, o “restando sul vago” per non esporsi a complicazioni nella formulazione;  semplificando le modalità del messaggio (per esempio, tralasciando i segnali di cortesia o non osservando le regole di “distanza sociale”); o, infine, tralasciando interi atti di parola, come le formule per aprire o chiudere in modo adeguato una conversazione.

Si adottano strategie di realizzazione, invece, quando, ad esempio, si “prendono in prestito” parole della L1 per esprimere un termine non disponibile nella LS/L2; quando si trasformano parole della L1 in modo da farle assomigliare, dal punto di vista fonetico o morfologico, alla L2; quando si traduce letteralmente dalla L1 alla LS/L2 (esponendosi così al ben noto fenomeno dei “falsi amici”). Più interessanti e produttive sono però le strategie di realizzazione basate sull’uso dell’interlingua, in cui cioè si cerca di fare il miglior uso possibile dei mezzi linguistico-comunicativi già disponibili nello stadio attuale del proprio repertorio. E’ il caso, ad esempio, della generalizzazione (con l’uso di parole generali come cosa, oggetto, persona o di superordinati come fiore invece di geranio) e della parafrasi (con l’uso di definizioni, descrizioni, esempi e circonlocuzioni: è una persona che taglia i capelli … è una cosa che si usa per fare fotografie …).

Ancora più significative sono le strategie di realizzazione a livello di discorso, in cui, come abbiamo già avuto occasione di notare, la competenza strategica si incontra con una più generale competenza pragmatica-discorsiva, o addirittura si sovrappone ad essa. In una visione “allargata” delle strategie comunicative, si è visto come queste possano risultare particolarmente utili quando l’apprendente deve affrontare aree problematiche come, ad esempio, aprire e chiudere una conversazione, tenere aperta e far procedere la conversazione stessa, esprimere sentimenti e atteggiamenti, negoziare significati e intenzioni, in modo poi del tutto particolare in contesti interculturali.

Ai soli fini di facilitare gli inteventi pedagogico-didattici, di cui parleremo nei prossimi paragrafi, propongo una tipologia di strategie comunicative interculturali, che non intende rappresentare né una tassonomia esaustiva e definitiva, né una sintesi delle numerose tassonomie esistenti nella letteratura sull’argomento [7]. Come si vedrà, si è dato particolare risalto alle strategie di realizzazione, che sono quelle che forniscono all’apprendente le migliori opportunità di estendere il proprio repertorio linguistico-comunicativo e di contribuire in tal modo all’ulteriore sviluppo della propria interlingua. L’insieme delle strategie proposte è volutamente eterogeneo, nel tentativo di rappresentare la varia natura e le diverse funzioni delle strategie comunicative, di cui abbiamo discusso nel paragrafo 2. Nell’elenco che segue (Tabella 1), gli esempi di esponenti linguistici (o “marcatori verbali”) riportati sulla destra costituiscono solo un’illustrazione delle possibili realizzazioni concrete in cui, a livello verbale, si può attualizzare ciascuna strategia, senza dimenticare che i comportamenti verbali sono sempre in stretta interrelazione con quelli non-verbali, e, più in generale, con le risorse e i vincoli che contraddistinguono le persone coinvolte, i contesti d’uso e le variabili culturali coinvolte.

 

 

Tabella 1 – Una proposta di tipologia di strategie comunicative interculturali: alcuni esempi [8]

A. Strategie per l’espressione di significati a livello di parola o frase

·         usare parole “plurifunzionali” o generali (es. iperonimi)

cosa, oggetto, macchina, persona …

fiore invece di geranio

·         usare sinonimi e contrari

molto piccolo invece di minuscolo

·         usare esempi al posto della categoria generale

sedie, tavoli, poltrone … invece di mobili

·         usare definizioni o descrizioni

- è la persona/cosa che

- a forma di …, del colore di …

- consiste di …, è usato per …, lo usi se …

·         usare approssimazioni e parafrasi

- è come un …, è una specie di …

·         autocorreggersi, riparando l’enunciato e gli eventuali malintesi

- è all’inizio … no, alla fine, è alla fine del capitolo.

- Scusa, ricomincio …

 

B. Strategie per la negoziazione dei significati

·         chiedere aiuto

- dicendo che non si riesce a capire o dire qualcosa: direttamente (Scusa, non capisco./Vengo quando? Domani?) o indirettamente (usando un’intonazione ascendente, contatti oculari, espressioni facciali, pause …)

- chiedendo al proprio interlocutore di ripetere, parlare più lentamente, spiegare, chiarire, confermare che si è usata l’espressione corretta, confermare che si è capito, ecc.: Scusi? Che cosa intende esattamente per …? E’ giusto dire così? Hai capito?

- ripetendo, parafrasando ciò che si è sentito e chiedendo conferma all’interlocutore: Dunque a destra, poi a sinistra e poi dritto. Giusto?

·         fornire aiuto, anche cercando di adattarsi al livello di lingua del proprio interlocutore

- Te lo ripeto più piano

- Ti faccio un esempio

 

 

C. Strategie per la gestione della conversazione

·         aprire e chiudere una conversazione

- Bella giornata, vero?

- Oh, guarda che ora è! Devo scappare!

·         tenere aperta la conversazione mostrando interesse ed incoraggiando l’interlocutore a parlare

- facendo domande: E allora cosa hai fatto?

- “ribaltando” la domanda: E tu invece?

- aggiungendo commenti ed esclamazioni: Mm, interessante … Davvero? .. Stai scherzando?

- esprimendo empatia: Oh, che peccato! Terribile! Mi spiace tanto!

- ripetendo o parafrasando quanto appena sentito

·         gestire i turni di parola

- individuando il momento opportuno per intervenire

- attirando l’attenzione: Scusa se ti interrompo … Posso chiedere una cosa?

- mantenendo il proprio turno, ad es. parlando tra sé e sé o ripetendo parole-chiave in quanto appena sentito: Che hobby hai? – Che hobby ho? Beh, vediamo …

- evitando o cambiando l’argomento: A proposito … Oh, prima che mi dimentichi … Come stavo dicendo …

·         usare tattiche per “prendere tempo” e tenere aperto il canale comunicativo

- usando pause, silenzi …

- usando “riempitivi”, esitazioni, “mosse” conversazionali: Bene … Vedo, vedo … In effetti, è una domanda molto interessante …

- ripetendo quanto detto o quanto appena sentito

 

D. Strategie para- ed extra-linguistiche

·         usare modelli intonativi (cf. B. qui sopra))

 

·         usare il linguaggio non-verbale (gesti, movimenti, espressioni facciali …)

 

·         usare oggetti, disegni …

 

 

 

E. Strategie per la gestione dell’interazione (inter)culturale

·         chiedere al proprio interlocutore correzioni o commenti

- Ho usato la parola giusta?

- Cosa diresti in questo caso?

·         controllare se la propria interpretazione è corretta

- Questo significa che …?

- Ho capito che … E’ così?

·         scusarsi per aver detto o fatto qualcosa di inappropriato e tentare di correggere malintesi (culturali)

- Mi spiace, non sapevo che …

- Scusa se ti ho fatto una domanda personale

- Penso che ci sia un malinteso. Mi puoi dire …?

·         gestire l’incertezza sul comportamento accettabile

- chiedendo all’interlocutore di chiarire o spiegare la sua cultura: Come ci si comporta qui? Che cosa significa quando …?

- facendo riferimento a ciò che è abituale nella propria cultura: Da noi …

- chiedendo che cosa si dovrebbe (o si sarebbe dovuto) dire o fare: Va bene se …? Che cosa diresti in questa situazione? Che cosa avrei dovuto fare?

 

5. CONTESTI D’USO DELLE STRATEGIE

Come si sarà potuto desumere da un sia pur rapido esame della tipologia appena presentata, le strategie comunicative sono un fenomeno e, allo stesso tempo, una risorsa connaturata alla gestione dell’interazione orale, sia in L1 che in LS/L2, e, in un certo senso, una caratteristica inevitabile degli scambi comunicativi. I problemi che le strategie consentono di  gestire sono infatti comuni ad ogni interazione, poiché anche in L1 capita spesso di “non trovare le parole”, di dover prendere tempo per pensare, di voler cambiare argomento, di correggere un malinteso, e così via. La comunicazione, insomma, non è mai fatta di scambi “perfetti”, quanto piuttosto di continui aggiustamenti e riparazioni, e questo, tanto più quanto più la competenza di uno o dei due o più interlocutori è incompleta o lacunosa. E’ paradossale, in questo senso, che strategie comuni nell’uso della L1 (ma utilizzate in modo inconsapevole e dunque relativamente “invisibili”) non vengano attivate in modo più sistematico e consapevole nell’apprendimento e nell’uso della LS/L2. A lungo ha pesato, e pesa, nell’insegnamento delle lingue straniere o seconde il mito e lo stereotipo del “parlante nativo ideale”, la cui presunta “competenza perfetta” dovrebbe costituire l’obiettivo finale dell’apprendimento. Oggi questo mito è ormai messo fortemente in discussione, sia per il riconoscimento che contesti diversi di apprendimento ed uso delle lingue richiedono tipi e livelli diversi di competenza, sia per la diffusione di lingue franche (in primo luogo l’inglese), in cui molto spesso gli interlocutori non sono parlanti nativi di tali lingue, e come tali non hanno a disposizione il repertorio linguistico e culturale che ci si aspetterebbe di trovare in un madrelingua.

Proprio la varietà delle lingue utilizzate, sia come strumento di comunicazione quotidiana che di apprendimento scolastico, in ambienti multilingui e pluriculturali, e i relativi variegati livelli di competenza raggiunti dai loro utilizzatori, consentono e richiedono di utilizzare strategie per gestire contesti d’uso molto diversificati. Da queste considerazioni può partire la proposta di inserire interventi pedagogico-didattici all’interno di percorsi di educazione linguistica integrata, in cui le strategie assumono una chiara rilevanza ogni volta che si manifesta in modi evidenti la necessità di comprendere e di farsi comprendere, ma anche di ascoltare in  modo attivo ed empatico e di rispondere in modo adeguato alle necessità del proprio interlocutore – e ciò in tutti i contesti comunicativi (a partire da quelli di classe), e al di là dei confini disciplinari.

Tuttavia, riconoscere l’utilità delle strategie comunicative interculturali, e di conseguenza incoraggiarne l’apprendimento e l’insegnamento, richiede alcuni elementi di cautela. Identificare strategie e individuare i possibili relativi esponenti (o “marcatori verbali”), come è stato fatto nella tipologia sopra proposta, significa proporre degli esempi descrittivi, non certo delle norme prescrittive o addirittura delle regole di comportamento. La variabilità delle personalità individuali, dei rapporti interpersonali, delle situazioni oggettive e dei contesti (inter)culturali richiede la massima flessibilità e una certa sensibilizzazione a ciò che è più opportuno dire e fare (o anche non dire e non fare) a seconda dei bisogni comunicativi e delle richieste contestuali. In altre parole, un uso meccanico e “automatico” di strategie, oltre a snaturare l’autenticità degli scambi interattivi, potrebbe compromettere lo stesso successo comunicativo.

Ciò che condiziona l’uso delle strategie sono, in primo luogo, le caratteristiche di ogni singolo contesto, quali il numero degli interlocutori, il grado di formalità/informalità della situazione e i conseguenti registri linguistici da adottare, lo scopo e i contenuti degli atti comunicativi, ma anche la disponibilità dei partecipanti a comunicare e a chiedere e fornire aiuto, nonché il tempo disponibile per elaborare gli enunciati, sia in ricezione che in produzione. Inoltre, i tratti di personalità possono orientare gli individui più introversi, ansiosi, poco tolleranti dell’ambiguità e del rischio verso strategie di riduzione o evitamento, al contrario di individui più estroversi, meno ansiosi e più tolleranti dell’incertezza comunicativa, che potrebbero utilizzare con maggiore facilità e frequenza strategie di realizzazione. In modo parallelo, individui orientati alla forma, alla correttezza, ad un monitoraggio intensivo della propria prestazione linguistica potrebbero giovarsi di strategie per “prendere tempo” e per pianificare meglio i propri enunciati – contrariamente a individui più orientati alla comunicazione, alla scioltezza, ad un monitoraggio più occasionale, che potrebbero giovarsi di strategie per tenere aperto il canale comunicativo e per trasmettere comunque i propri messaggi e i propri sentimenti anche a rischio di essere imprecisi o di commettere errori [9].

Tutte queste variabili si intrecciano strettamente con le dimensioni dei contesti interculturali: basti considerare i diversi significati che il linguaggio non-verbale o para-verbale ha nelle diverse culture, per cui, ad esempio, i diversi gradi di tolleranza del silenzio possono far percepire l’uso di “riempitivi”, frasi fatte, modi per “prendere tempo” come utile e necessario oppure come irritante e persino offensivo. Gli stili comunicativi culturali [10] sono insomma, al pari degli stili comunicativi individuali, una delle variabili che più condizionano l’uso delle strategie attraverso le culture.

 

5. ALCUNE IMPLICAZIONI PEDAGOGICHE

Possiamo riassumere nei seguenti punti i vantaggi di apprendere e insegnare strategie comunicative interculturali nella L1, nella LS/L2 ed oltre, ovunque le lingue siano strumento di comunicazione e di apprendimento (e quindi anche, ad esempio, nei percorsi interdisciplinari, compresi gli approcci CLIL, e, più in generale, nelle dinamiche dell’interazione di classe):

·         le strategie comunicative aiutano le persone a rimanere nella conversazione, consentendo loro di ricevere più input, e quindi di aumentare le opportunità di sviluppare il proprio sistema interlinguistico;

·         consentendo di rimanere nell’interazione, le strategie possono aiutare gli apprendenti, dal lato produttivo, a ottenere un utile feedback sulle loro prestazioni, e, dal lato ricettivo, ad esercitare un maggiore monitoraggio su ciò che introiettano (intake), mettendoli ad esempio in condizione di sollecitare l’interlocutore a modificare, semplificare o chiarire i suoi enunciati;

·         le strategie promuovono la flessibilità che è necessaria per affrontare l’imprevedibile e l’inaspettato, componenti inevitabili di ogni interazione. Ciò significa anche abituarsi ad una comunicazione imprecisa ma flessibile, tipica delle realtà comunicative quotidiane (ma non, purtroppo, di molte situazioni di apprendimento formale);

·         poiché le strategie incoraggiano l’assunzione di rischi e l’iniziativa personale, esse possono contribuire ad aumentare la percezione di un maggiore controllo sull’interazione da parte degli interlocutori, e in questo senso possono stimolare gli apprendenti a giocare un ruolo più attivo, a fare scelte responsabili e, in definitiva, ad avvicinarsi a posizioni di autonomia cognitiva e linguistica;

·         proprio per questi motivi le strategie comunicative possono anche assumere il ruolo di strategie di apprendimento, e come tali rientrare a buon diritto come componente degli interventi volti a sviluppare il saper apprendere, o l’imparare a imparare [11].

Imparando ad utilizzare le strategie comunicative, chi apprende ed usa una lingua sviluppa quella che Swain già molti anni or sono aveva chiamato competenza strategica, così definendola:

“la padronanza delle strategie comunicative che possono essere essere messe in azione o per potenziare l’efficacia della comunicazione o per compensare interruzioni nella comunicazione” (Swain 1984: 189)

In quanto competenza, e non semplice addestramento all’uso di tecniche o tattiche, la padronanza delle strategie assume una rilevanza pedagogica particolare: un modello di competenza non si esaurisce infatti nel saper fare, cioè nell’abilità di utilizzare appunto una gamma più o meno estesa ed articolata di strategie, ma comporta l’integrazione di un sapere (cioè delle conoscenze dichiarative e procedurali che fanno da base al saper fare) e di un saper essere (cioè di convinzioni, atteggiamenti e motivazioni personali che consentano all’individuo di mettere in atto il saper fare). Ad esempio, e come si è visto all’inizio della nostra tipologia di strategie, la conoscenza di meccanismi lessicali, quali la sinonimia/antonimia, l’iperonimia o gli “insiemi lessicali”, costituisce una base di informazioni necessaria per attivare diverse strategie che consentono l’espressione di significati a livello di parola o frase quando non si posseggono i termini esatti: il sapere dichiarativo è il presupposto dell’abilità di compiere scelte e produrre comportamenti linguistici e non-linguistici nei contesti appropriati e per gli scopi che ci si prefigge. Ma questi comportamenti non sarebbero possibili, o perderebbero comunque molto della loro efficacia, se non fossero sostenuti da disposizioni personali adeguate, quali, ad esempio, la convinzione che i significati si possono esprimere in molti diversi modi e non solo con il termine esatto; che è possibile almeno in parte esercitare un controllo sulla propria produzione verbale; che opportune strategie possono risultare utili in questo senso. E a queste convinzioni si devono accompagnare atteggiamenti altrettanto adeguati: ad esempio, essere preparati a correre rischi ragionevoli; tollerare l’ambiguità, e la conseguente ansia, derivante dal gestire una comunicazione inesatta e imperfetta; essere abbastanza flessibili da cambiare strategia se necessario.

Acquisire una competenza strategica, come d’altronde acquisire ogni competenza, significa dunque impegnarsi in un processo che coinvolge l’intera persona, nelle sue dimensioni non solo cognitive, ma anche affettive, sociali, culturali: un processo che qualifica i relativi interventi pedagogici come una vera e propria educazione alle strategie.

 

 

 

6. VERSO APPROCCI DIDATTICI “STRATEGICI”

Sulla base delle considerazioni sin qui fatte, possiamo ipotizzare un approccio didattico all’educazione alle strategie che sia

·         di carattere descrittivo (e non prescrittivo);

·         basato sulla consapevolezza linguistica-culturale;

·         induttivo ed esperienziale;

·         esplicito e sistematico.

Si è già fatto osservare che la predisposizione di tiplogie di strategie non deve costituire una sorta di programma o “sillabo” da insegnare in modo rigido, alla stregua di “regole” normative. Gli stessi elenchi di strategie, proposti in questo contributo e in molta leteratura sull’argomento, sono il risultato della raccolta di esempi di interazioni verbali, e come tali posseggono lo status di descrizioni di comportamenti probabili o al limite anche frequenti, ma certamente non di norme fisse ed astratte. I comportamenti strategici, in altre parole, sono caratterizzati da spontaneità, originalità, creatività, flessibilità – il che non esclude che si possano proporre forme e modelli da utilizzare come base di partenza, piattaforma di lancio, supporti, anche temporanei, all’elaborazione personale di modi di affrontare problemi e, più in generale, di gestire l’interazione.

La chiave per poter superare questo apparente paradosso dell’”insegnare” strategie salvaguardando la creatività personale e la spontaneità dell’interazione consiste proprio nell’adottare un approccio che metta al centro la consapevolezza linguistica e culturale (language and culture awareness). Questo approccio può tradursi nel chiedere agli apprendenti di focalizzare la loro attenzione su specifiche strategie, fornendo modelli del loro uso, rendendoli consapevoli del perchè le strategie sono importanti, di come esse funzionano e di quando possono tornare utili; e invitandoli quindi a farne pratica in attività dapprima guidate ma gradualmente sempre più libere. Non si tratta, come si vede, di un approccio centrato sull’applicazione rigida di modelli e sul loro formale esercizio intensivo, ma di una presa di coscienza dei comportamenti verbali e non verbali, propri e altrui, e di una riflessione critica sui mezzi utilizzati in questi comportamenti e sulla loro efficacia comunicativa, anche e soprattutto in chiave interculturale [12].

In questo senso si è definito questo approccio induttivo ed esperienziale. Il ciclo che combina ed integra esperienza e riflessione può partire dall’esposizione ad esempi di uso linguistico (anche prodotti dagli stessi apprendenti) che evidenzino problemi linguistico-comuncativi ed eventualmente anche possibili, provvisorie soluzioni strategiche. Questo materiale linguistico, autentico o semi-autentico (se costituito da materiali didattici appositamente predisposti) può essere fatto oggetto di riflessione e discussione, uno stadio “esplorativo” importante, perchè è a questo punto che gli studenti hanno l’opportunità, da una parte, di diventare consapevoli dei loro problemi e di come li affronterebbero, e dall’altra, di essere esposti a modelli ed esempi di come è possible utilizzare strategie specifiche e finalizzate. Da questo momento, come si è detto, può (ri)partire una fase di esperienza attiva e personale di strategie, che porti gli studenti a mettersi alla prova e ad autovalutare le proprie prestazioni e le strategie usate (o non usate). Perchè ciò avvenga, occorre che i compiti proposti agli studenti propongano contesti di uso delle lingue problematici, in cui cioè il ricorso a strategie communicative sia necessario per risolvere situazioni che non possono essere gestite utilizzando modelli automatici di risposta – in altre parole, situazioni in cui agli student venga richiesto di utilizzare al massimo le (limitate) risorse linguitiche e non-linguistiche già in loro possesso.

Un approccio di questo tipo si qualifica infine come esplicito, sia perchè fa emergere problemi e strategie e li fa oggetto di riflessione e discussione nel senso esperienziale e induttivo che abbiamo illustrato, sia perchè può prevedere anche momenti di presentazione e pratica diretta di strategie attraverso esempi, modelli, dimostrazioni. In particolare, la presentazione di realizzazioni verbali delle strategie (quelle che altrove abbiamo chiamato “esponenti” o “marcatori verbali”) può rivelarsi in special modo utile, ad esempio, nel caso delle strategie per l’espressione di significati a livello di parola o di frase (come le descrizioni, le definizioni e le parafrasi che si “appoggiano” a forme linguistiche chiaramente identificabili, come è un oggetto a forma di …, è il luogo dove …, è simile a …), o nel caso delle strategie per la negoziazione di significati (in cui espressioni come Che cosa vuoi dire con questo? Che parola posso usare per …? Che cosa posso dire quando …? possono costituire utili punti di appoggio per aiutare l’interazione a procedere). La presentazione di forme linguistiche di questo tipo (si veda in proposito la tipologia di strategie presentata nel paragrafo 4) e la loro pratica in attività didattiche focalizzate costituisce un tipo di approccio deduttivo, che può essere complementare alle pratiche induttive sopra citate [13].

L’Appendice fornisce, in forma schematica,  alcuni esempi di materiali e attività sviluppati nell’ottica di questi approcci didattici “strategici”.

 

7. CONCLUSIONE

Nonostante le strategie comunicative interculturali siano st ate oggetto negli ultimi decenni, come si è cercato di dimostrare in questo contributo, di numerosi studi e ricerche [14], il loro impatto sull’apprendimento/insegnamento delle lingue è stato tutto sommato modesto. Sono poche le pubblicazioni specifiche destinate agli studenti e agli insegnanti, ed anche i corsi di lingua si sono dimostrati piuttosto restii ad includere un trattamento esplicito e sistematico delle strategie come componente dei loro obiettivi e contenuti. Parte della difficoltà è certamente dovuta al problema di come integrare efficacemente l’educazione alle strategie nella didattica quotidiana, evitando soprattutto di ridurre le strategie a tecniche o tattiche isolate e slegate dallo sviluppo complessivo di una competenza linguistico-comunicativa.

Ritengo che, una volta chiarito il loro ruolo e le opportunità che esse offrono a chi apprende e usa una o più lingue, le strategie communicative interculturali possano entrare di buon diritto a far parte degli interventi pedagogico-didattici volti a promuovere la trasversalità degli apprendimenti linguistici in un curricolo che voglia veramente qualificarsi come plurilingue e multiculturale.

 

APPENDICE: ESEMPI DI MATERIALI E ATTIVITA’ [15]

N.B. Si faccia riferimento alla tipologia di strategie nel paragrafo 4.

 

A. “Parole proibite”

Strategie: usare definizioni o descrizioni

A coppie, gli studenti si scambiano domande e risposte, ma nelle risposte non possono usare alcune parole prederminate: ad esempio, rispondendo alla domanda Che città ti piacerebbe visitare in questo paese? non possono usare i nomi delle città, ma solo definizioni o descrizioni, in modo tale che l’interlocutore possa indovinare. Un altro esempio:

A: Qual è la tua stagione preferita?

B: E’ quando si può andare in spiaggia, prendere il sole e fare il bagno.

A: Allora ti piace l’estate!

Esempi di altre domande:

·         Che tipo di film ti piacciono di più? (parole proibite: generi di film)

·         Qaul è il tuo attore preferito? (parole proibite: nomi di attori)

·         Qaul è il tuo hobby preferito? (parole proibite: nomi di hobby)

 

B. Cruciverba

Strategie: usare definizioni e descrizioni

Gli studenti lavorano a coppie. Ad ogni coppia viene dato un cruciverba da completare e le relative soluzioni, per le quali devono scrivere le definizioni. Poi scambiano il loro cruciverba (con le definizioni) con un’altra coppia, che lo completa utilizzando le definizioni fornite. Può essere utile far emergere dagli studenti (e/o ricordare loro) le forme che possono assumere le definizioni: La cosa che è utile quando … Il luogo dove … Un medico lo usa per … Un oggetto simile a… /a forma di …/fatto di …

 

C. “Spalla a spalla”

Strategie: strategie per l’espressione di significati; chiedere e fornire aiuto

Gli studenti si siedono a coppie, di spalle. Lo studente A deve descrivere una figura (complicata) allo Studente B, in modo tale che quest’ultimo la possa disegnare correttamente, anche chiedendo chiarimenti, ripetizioni, chidendo conferma di aver capito e di essere stati capiti, ecc. Invece di descrivere una figura, si può chiedere agli studenti di dare indicazioni per un percorso su una cartina, di dare istruzioni per mettere insieme le parti di una figura o di un oggetto, di scoprire le differenze in una serie di figure simili, ecc.

Può essere previsto un ruolo di osservatoreper uno Studente C, che durante l’interazione prende nota delle strategie usate da A e B, discutendone poi con entrambi e/o in una riflessione a classe intera.

 

D. Ascolta, per favore …

Strategie: cercare di tenere aperta la conversazione mostrando interesse ed incoraggiando l’interlocutore a parlare; usare linguaggi non-verbali

1. Gli studenti lavorano a gruppi di tre (A, B e C). A parla di un argomento prestabilito per 4 minuti. B ascolta, partecipando in modo naturale alla conversazione (cioè facendo domande, aggiungendo commenti, ecc. – ma non dimenticando che A è il “protagonista”). C osserva e prende nota delle strategie (verbali e non-verbali) che B usa per mostrare interesse e per aiutare A a proseguire nella sua esposizione dell’agomento.

2. Poi gli student si scambiano i ruoli, in modo tale che a turno ciascuno giochi uno dei tre ruoli (A,B e C).

3. Infine, gli studenti si scambiano le loro osservazioni, prima nel loro gruppo, poi a classe intera. Esempi di domande-guida per la discussione:

·         Che cosa hanno detto e fatto gli studenti B durante la conversazione? Che strategie (verbali e non-verbali) hanno utilizzato?

·         Come si sono sentiti gli studenti A mentre parlavano? Hanno percepito che B li stesse ascoltando con attenzione? Perchè sì/perchè no? Il comportamento di B è stato di aiuto o di ostacolo?

·         Queste strategie possono essere utili nelle conversazioni in L1? In LS/L2?

·         Quali altri fattori possono essere coinvolti nell’uso di queste strategie: personalità individuale … contesto … differenze culturali …?

 

E. Rispondo e non rispondo …

Strategie: tenere aperta la conversazione, evitare o cambiare l’argomento, usare tattiche per “prendere tempo”

1. Come introduzione, l’insegnante risponde alla domanda di uno studente (es. A che ora ti alzi al mattino?) cercando di non fornire l’informazione richiesta, ma usando chiare strategie per “prendere tempo” ed evitare l’argomento (es. Beh, dipende. Ovviamente se devo venire a scuola metto la sveglia molto presto. Ma è diverso nel weekend. Posso stare a letto un po’ di più … oppure Beh, a dire la verità … ora che mi ci fai pensare … mi also di rado alla stessa ora ogni mattina. Vedi, dipende molto da quello che devo fare …).

2. L’insegnante chiede agli studenti se hanno notato qualcosa di insolito nella sua risposta e cerca di far emergere le strategie usate, chiarendo che lo scopo di queste strategie è di tenere aperta la conversazione e, allo stesso tempo, di esercitare un certo grado di controllo sull’interazione. Poi chiede agli studenti se pensano che strategie come queste possano risultare utili nelle interazioni reali, in L1 o in LS/L2, per esempio in caso di domande alle quali non sanno o non vogliono rispondere.

3. L’insegnante fa ora una domanda ad alcuni studenti, che cercheranno di comportanrsi sulla stessa linea. Dopo una nuova breve riflessione sulle strategie usate (o non usate), gli studenti svolgono lo stesso compito a coppie.

4. Come variante, è possible chiedere agli studenti di indirizzare la conversazione verso un argomento diverso rispetto alla domanda iniziale; l’argomento può essere scelto in anticipo. Lo studente che risponde può fermarsi quando ha raggiunto l’argomento predefinito, oppure può essere fissato un tempo massimo di durata della conversazione.

 

F. Gli “incidenti critici”

Strategie: controllare se la propria interpretazione è corretta; scusarsi per aver detto o fatto qualcosa di inappropriato e tentare di correggere malintesi (culturali); gestire l’incertezza sul comportamento accettabile

1. L’insegnante spiega in che cosa consiste un “incidente critico” – una situazione in cui c’è un divario di presunzioni ed aspettative tra persone di lingua e/o cultura differenti (ma la cosa può capitare anche interagendo tra persone madrelingua!). Noi tutti tendiamo a giudicare ciò che vediamo o sentiamo sulla base delle nostre “norme culturali”, e quando vediamo infrangere queste norme, siamo colpiti dall’insolito, dallo strano, dal non-familiare. Il risultato può essere che non riusciamo a capire i rispettivi punti di vista: la comunicazione può interrompersi o soffrirne gravemente, procurando disagio e imbarazzo. L’insegnante fornisce qualche esempio della sua esperienza, e/o chiede agli studenti se si sono mai trovati in situazioni simili.

2. A piccoli gruppi, gli studenti cercano di ricordare e discutere incidenti critici di cui sono stati protagonisti o di cui hanno comunque avuto esperienza indiretta (parlando con amici, guardando un film, navigando su Internet …). Una scheda come questa può essere utile per strutturare la riflessione e la discussione [16]:

A. Breve descrizione dell’esperienza …

B. La mia reazione al momento: come mi sono sentito, che cosa ho detto o fatto …

C. Ciò che ho fatto dopo: ho parlato con qualcuno, ho cercato di capire meglio, ho scoperto che …

D. I miei pensieri e i miei sentimenti sono/non cambiati da allora …

E. Se mi trovassi in una situazione simile oggi, direi/farei …

3. A classe intera, gli studenti discutono delle implicazioni culturali implicate negli incidenti critici e dei modi in cui questi possono essere affrontati, sia al momento che successivamente. L’insegnante cerca di far emergere e/o illustra il ruolo che le strategie comunicative possono giocare in questi frangenti (cf. la tipologia di strategie presentata nel paragrafo 4).

 

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

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[1] Lo stesso Quadro Comune Europeo di Riferimento  per le Lingue (Consiglio d’Europa 2002) elenca come “strategie dell’interazione” una serie molto articolata di strategie, classificate in base agli stadi nel processo di realizzazione dell’interazione: si parla quindi di strategie di pianificazione (come inquadrare la struttura dell’interazione, identificare i divari nelle informazioni e nelle opinioni, giudicare cosa si può dare per presupposto, pianificare le mosse), di strategie di esecuzione (come prendere la parola, cooperare a livello interpersonale e ideativo, gestire l’imprevisto, chiedere aiuto), di strategie di valutazione (come il monitoraggio) e, infine, di strategie di riparazione (come chiedere e dare chiarimenti e riparare la comunicazione). Tuttavia, il Quadro fornisce degli esempi di scale soltanto per prendere la parola, cooperare e chiedere chiarimenti. A riprova di quanto il termine “strategia” possa allargarsi a macchia d’olio finendo per coprire dimensioni diverse della competenza comunicativa, si noti che la scala “prendere la parola (alternarsi nei turni di parola)”, viene presentata due volte nella stessa forma, come scala di strategie nel Capitolo 4 (“L’uso della lingua e chi la utilizza e l’apprende”) e come componente della competenza pragmatica-discorsiva nel Capitolo 5 (“Le competenze di chi apprende e usa la lingua”). Torna al testo

[2] Per una rassegna storica delle ricerche sulle strategie comunicative e sui diversi approcci utilizzati nella loro concettualizzazione, si veda Dörnyei e Scott 1997. Torna al testo

[3] Boscolo (1986:19) in merito afferma: “Non è facile distinguere strategia da processo: in genere, si usa il secondo termine per designare le funzioni cognitive implicate nella codificazione, trasformazione e immagazzinamento dell’informazione, e il primo termine per indicare il controllo di tali processi (Kirby 1984: 5). Per fare un esempio attinente al campo della memoria … la funzione di recuperare informazioni dalla memoria a lungo termine è un processo, mentre le modalità per facilitare e controllare questo recupero (quale il ricorso ad appunti, diari, ecc.) sono strategie”. Torna al testo

[4] Il termine “cerniera” è utilizzato in modo esplicito dal Quadro Comune Europeo di Riferimento (2002: 33): “Le strategie sono considerate una cerniera tra le risorse dell’apprendente (competenze) e ciò che questi può fare (attività comunicative)”. Torna al testo

[5] Sulle differenze e le somiglianze tra strategie comunicative in L1 e in L2, si veda Bongaerts e Poulisse 1989. Torna al testo

[6] L’insegnabilità delle strategie e i possibili approcci didattici sono trattati in modo sistematico in Dörnyei 1995 e in Faucette 2001. Torna al testo

[7] Per una panoramica esauriente delle classificazioni operate sulle strategie, si vedano Dörnyei e Scott 1997, Rababah 2002, Safont Jordá (senza data). Torna al testo

[8] Per la versione completa di questa tipologia, qui presentata in forma sintetica, si veda Mariani 2010a. Torna al testo

[9] Sull’impatto delle differenze individuali sull’uso delle strategie si veda Littlemore 2003. Torna al testo

[10] Sugli stili comunicativi culturali si veda ad esempio Mariani 2006 e i riferimenti bibliografici e sitografici ivi citati. Torna al testo

[11] Sulle dimensioni dell’”imparare a imparare”, un’altra delle competenze-chiave per l’apprendimento permanente identificate della Raccomandazione del Parlamento Europeo (2006), si veda Mariani 2010b. Torna al testo

[12] La dimensione culturale delle strategie comunicative è approfondita in Levine et al. 1987 e in Sarn 2000. Torna al testo

[13] Utili riferimenti per la didattica delle strategie comunicative sono Dörnyei e Thurrell 1991, Gallagher Brett 2001, Keiler e Warner 1988, Ogane 1998, Manchón 2000 e Williams 2006. Torna al testo

[14] Si vedano, in ambito italiano, Benigni e Canzoneri 1995, Castelli 1995, Lombardo 1995, Rubino 1998 e Vettorel 2009. Torna al testo

[15] Gli esempi, qui presentati in forma sintetica, sono tratti da Mariani 2010a, cui si rimanda per una descrizione più puntuale e per una panoramica estesa di materiali e attività. Torna al testo

[16] La scheda è adattata da AA.VV. 2010. Si tratta del Progetto CROMO, un modulo culturale transfrontaliero (risultato del lavoro congiunto di istituzioni italiane, austriache e slovene) centrato sullo sviluppo dell’educazione interculturale e sulla sua (auto)valutazione. Si veda in proposito anche Mariani 2009. Torna al testo

 

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