IL PORTFOLIO DELLE LINGUE A SCUOLA: TRA SFIDE E CRITICITA’

 

 

Luciano Mariani  www.learningpaths.org

 

Relazione tenuta al Seminario AICLU (Associazione Italiana Centri Linguistici Universitari) “European Language Portfolio” - Scuola Superiore di Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori Trieste, 5 ottobre 2007

 

 

Introduzione

 

Uno strano destino è capitato allo strumento “portfolio” in Italia. Il nostro paese è stato pioniere sia nell’utilizzo, sia nella creazione di portfoli, con ben 9 portfoli per la scuola (dalla scuola dell’infanzia alle scuole secondarie superiori) validati dal Consiglio d’Europa nel periodo dal 2002 al 2005. A questo si sono accompagnati corsi di formazione dei docenti, in presenza e a distanza, convegni, pubblicazioni, e tutto un fiorire di iniziative editoriali, che hanno prodotto anche una serie di portfoli non validati. I vari modelli di Portfolio Europeo delle Lingue (PEL) hanno così avuto una diffusione notevole, anche se molto a macchia di leopardo, dando origine a molte interessanti esperienze, specialmente nelle sperimentazioni promosse in alcune regioni, accompagnate da un grande interesse di molti insegnanti.

 

Il tentativo di allargamento curricolare e trasversale del portfolio, istituzionalizzato come Portfolio delle Competenze nella Legge 53/2003 (la c.d. Riforma Moratti) e collegato alla figura del tutor, il “compilatore ufficiale del portfolio” secondo quella legge, si è ispirato a principi molto diversi da quelli del PEL, ed è stato subito oggetto non solo di critiche, ma spesso di un vero e proprio rifiuto. Oggi sia il portfolio trasversale che il tutor sono stati di fatto cancellati, non essendovene più traccia nelle nuove Indicazioni per il Curricolo per il Primo Ciclo di Istruzione pubblicate nell’agosto 2007, e, anche se diverse scuole hanno sperimentato e continuano a utilizzare con impegno e creatività vari modelli di portfolio, l’immagine del portfolio trasversale sembra ormai irrimediabilmente compromessa.

 

Dal canto suo, il PEL conserva comunque un suo status come documento europeo, anche se l’ultimo rapporto del Consiglio d’Europa (Maggio 2007)(1) evidenzia che il numero degli studenti che hanno utilizzato un portfolio delle lingue in Italia nel 2005-2006 è molto alto (32322), ma è sceso rispetto all’anno precedente (51238) e ancora di più rispetto all’anno ancora precedente (73667). La sensazione è che, dopo il forte impatto iniziale, l’interesse per il portfolio si stia affievolendo. I maggiori dubbi, tuttavia, riguardano quanto l’uso di un portfolio stia effettivamente dispiegando tutte le sue potenzialità non solo come strumento di autovalutazione, ma anche come catalizzatore di cambiamenti nei modi stessi di insegnare e di imparare.

 

Sembra oggi necessario rilanciare una vision del portfolio e alcune idee-chiave, partendo da quelle che, alla luce delle esperienze di questi anni, si sono rivelate essere al contempo delle sfide, cioè delle potenzialità forti anche se ambiziose, e dei punti di criticità:

·      la sfida dell’integrazione nel quotidiano e della continuità tra livelli di istruzione;

·      la sfida della tensione tra prodotto e processo;

·      la sfida dell’(auto)valutazione.

 

 

La sfida dell’integrazione e della continuità

 

Possiamo partire dal commento sull’uso del Dossier di una bambina di 5a elementare che ha usato il Portfolio Piemonte (2):

 

"Noi siamo abituati a raccogliere materiali durante le visite e le gite ... Se impari a raccogliere materiali per documentare le cose che studi, poi lo fai sempre. E' come per la storia: mica la impari solo sui libri, la impari anche quando vai al museo, o sui documenti o quando vedi i monumenti ..."

 

Questa bambina sembra aver colto in modo preciso lo spirito del portfolio: raccogliere esperienze e dare loro significato. E in effetti il portfolio è essenzialmente uno strumento metacognitivo, di pianificazione, monitoraggio e autovalutazione – e lo è in tutte le sue parti:

·      nel Passaporto delle lingue, lo studente costruisce non solo un curriculum di competenze ma anche un identikit come persona che entra in contatto con più lingue e più culture;

·      nella Biografia linguistica, lo studente riflette sulle esperienze scolastiche ed extrascolastiche e attribuisce loro un valore in termini anche di competenze, raggiunte o da raggiungere, identificate in modo più oggettivo;

·      nel Dossier, lo studente formula giudizi, non solo sui materiali che vuole includere, ma anche riguardo alle motivazioni che hanno portato alla selezione o meno dei materiali stessi.

 

Adottare un portfolio nella pratica didattica quotidiana comporta dunque un approccio metacognitivo forte, che non può essere limitato ai momenti in cui si usa il portfolio, non si può esaurire in alcuni episodi isolati di uso del portfolio. E’ emersa dunque una forte esigenza di integrazione nella didattica quotidiana. A questa esigenza molti libri di testo sembrano aver voluto rispondere includendo esercizi e attività pensati in modo specifico per essere inclusi nel portfolio – col gravissimo rischio che si facciano cose apposta per il portfolio, il quale può essere percepito allora come qualcosa di estraneo al normale lavoro di classe, anzi, come un’aggiunta al carico di lavoro di insegnanti e studenti. I momenti in cui si usa il portfolio devono invece essere sostenuti da tempi, spazi, strumenti che nel quotidiano facciano da preparazione, da sostegno e da "ponteggio" al portfolio.

 

A molti degli insegnanti che hanno sperimentato il portfolio sono state subito chiare alcune implicazioni forti per la loro didattica (3). Ad esempio, l'autovalutazione delle competenze, come vedremo meglio tra poco, non può farsi "a freddo", in momenti isolati, e senza una preparazione molto graduale e ancorata alle cose che si fanno in classe, giorno dopo giorno. Non posso chiedere a un ragazzo di autovalutarsi su un descrittore anche relativamente semplice come "Quando leggo io sono in grado di ricavare da semplici testi informazioni su argomenti noti" se questo incontro con il descrittore non è stato preparato, se il ragazzo non ha avuto modo di familiarizzarsi sia con il contenuto che con la forma del descrittore. Questa familiarizzazione graduale deve partire dal quotidiano, dai singoli compiti di comprensione, dall'abituarsi, subito dopo un compito, a porsi domande come: che cosa dovevo capire? L'ho effettivamente capito? Sono soddisfatto di come ho svolto il compito? Che problemi ho avuto? Come posso fare a superarli?

 

D’altronde, i descrittori sono stati usati, sia pur più raramente, come punto di partenza: ad esempio, partendo da un descrittore come “Sono in grado di fare una semplice recensione di un film per il giornale della scuola”, è possibile de-costruire questa competenza con una serie di domande che mettono a fuoco le fasi del processo: per esempio, che cosa devo essere in grado di fare per eseguire con competenza questa attività? Che cosa so già fare, e quindi su che cos’altro devo concentrare i miei sforzi? Quali sono i criteri che identificano una “buona recensione”? Su quali standard potrò misurare la qualità del mio prodotto finale?

 

Allo stesso modo, anche la capacità di effettuare delle scelte (ad esempio, per i materiali da includere nel dossier) va sviluppata gradualmente ma sistematicamente, offrendo opportunità di scegliere, per esempio, tra più tipi e più generi di testi da ascoltare, da leggere, da scrivere, tra più supporti su cui lavorare, tra più occasioni di prestazioni.

 

E’ evidente che tutto questo comporta dei notevoli cambiamenti per la prassi didattica, per la flessibilità dell’insegnante in primo luogo. Il portfolio ha prodotto i suoi effetti più evidenti quando è riuscito a rimettere in discussione non solo e non tanto le prassi didattiche quanto, ancora di più, le convinzioni e gli atteggiamenti degli insegnanti.

 

Dunque c’è questa forte esigenza di integrazione nel quotidiano, potremmo anche dire di continuità in orizzontale - che si collega strettamente alla parallela esigenza di assicurare una continuità in verticale, cioè nel passaggio da un classe a quella successiva, da un ciclo scolastico a quello successivo, e poi dalla scuola all’università o al lavoro. La struttura del PEL aiuta senz’altro a fare questo perché assicura un impianto comune, riconoscibile in tutti i portfoli validati per la scuola. Ma la posta in gioco è ben più impegnativa. Se vogliamo che il portfolio costituisca un ponte tra i vari livelli di apprendimenti - istituzionali e non - si tratta di costruire una cultura del portfolio nelle scuole e tra gli insegnanti, in modo che lo strumento sia conosciuto, ri-conosciuto, valorizzato e usato concretamente. Allo stato attuale delle cose, non possiamo dare per scontata questa cultura del portfolio nelle scuole: per questo, a ogni punto di passaggio, compresa la transizione scuola-università, occorre verificare se e quanto e come gli studenti abbiano fatto esperienze con un portfolio e solo dopo decidere quali ulteriori strategie di uso del PEL adottare.

 

 

La sfida della tensione tra prodotto e processo

 

 “Se i tuoi compagni non sanno una cosa che tu credi di sapere ma non sai, quando cerchi di spiegargliela, allora ti rendi conto di non saperla e ti devi impegnare ad impararla anche tu …”

 

Questo commento di un bambino sull’uso della Biografia Linguistica (2) ci introduce alla seconda sfida: la tensione tra prestazione o prodotto, da una parte, e processo o percorso che si compie per arrivare a quel prodotto. Questo si collega direttamente alle funzioni che un portfolio può svolgere:

§         valenza certificativa, che si realizza nel documentare, cioè nel dare visibilità concreta alle competenze acquisite o in via di acquisizione - il prodotto del percorso formativo (che cosa ho imparato a fare, che cosa voglio ancora imparare);

§         valenza formativa, che si realizza, non solo nell'incoraggiare e motivare lo studio delle lingue e nel sottolineare il valore del plurilinguismo e della multiculturalità,  ma anche nel promuovere modalità di apprendimento e valutazione sempre più autonomi: questi sono fattori di processo - riguardano cioè i modi in cui si svolge il percorso formativo (come ho imparato, come sto imparando o come vorrò imparare in futuro).

 

Le due funzioni si integrano e coesistono, anche se possiamo ragionevolmente supporre che man mano che il portfolio assume un ruolo di documentazione all’esterno della scuola, per esempio sul lavoro, la funzione certificativa possa diventare primaria agli occhi dello studente.

 

Ma qui emergono con forza alcuni elementi di criticità. Spesso le parti più usate di un portfolio sono gli elenchi di descrittori, le lunghe liste di “so fare questo, “so fare quest’altro”, che, in un’epoca così orientata agli standard e alle certificazioni com’è la nostra, sembrano forse fornire agli insegnanti e agli studenti delle oasi di certezza. Inevitabilmente, se si sceglie questo approccio, il rischio è che si accentui la valenza certificativa e che ne soffrano le altre finalità chiave di un portfolio, che, non dimentichiamolo, sono anche, ma vorremmo quasi dire prioritariamente, la promozione dell’autonomia nell’apprendimento attraverso la riflessione su cosa si impara e su come si impara.

 

Credo allora che sia necessario riscoprire le ragioni profonde di questa integrazione tra il che cosa e il come, tra prodotto e processo, o, in altre parole, tra le competenze e i percorsi per raggiungere quelle competenze. La chiave sta proprio nel concetto di competenza:

 

“saperi e abilità di una persona in una determinata situazione, inseriti in un sistema in cui assume significato anche il chi è portatore di questa conoscenza e il dove e perché questa conoscenza si esprime” (4)

 

Competenza dunque come integrazione di conoscenze e abilità, ma anche di convinzioni e atteggiamenti – o, in altre parole, competenza come interfaccia di sapere, saper fare e saper essere.

 

Per illustrare l’integrazione dei diversi elementi di una competenza ricorriamo ad un esempio (5). Partiamo da un descrittore del tipo, "E' in grado di riconoscere le informazioni significative in articoli di giornale a struttura lineare, che trattino argomenti familiari" (Quadro Europeo Comune di Riferimento, Leggere per informarsi e argomentare, Livello B1). Questa competenza di lettura si estrinseca in prestazioni, che ne sono la manifestazione visibile. Ma che cosa condiziona il realizzarsi di questa prestazione di lettura? Che cosa deve succedere all'interno della persona, sotto la linea del visibile, perchè si produca questa prestazione?

 

 

La parte sommersa dell’iceberg nasconde quelli che si potrebbero chiamare “fattori di processo”, e cioè,

·      i veri e  propri processi di comprensione del testo, in cui vengono mobilitate le nostre risorse pregresse;

·      le strategie, cioè i passi concreti, le operazioni, le azioni specifiche con cui si può cercare di facilitare, ottimizzare, velocizzare questi processi, specialmente in presenza di problemi: ad esempio, in questo caso,

o       porsi domande sull'argomento richiamando le proprie conoscenze;

o       richiamare alla mente la struttura peculiare al tipo di testo;

o       considerare con attenzione l'inizio di ogni paragrafo;

o       cercare parole-chiave; ecc.

·      le differenze individuali, come gli stili di apprendimento, le intelligenze, le attitudini, che condizionano la scelta e l’uso delle strategie; ad esempio,

o       le persone con una preferenza "visiva-non verbale" potranno forse sfruttare meglio gli elementi grafici, non verbali del testo;

o       le persone con una spiccata tendenza "globale, casuale, intuitiva" potranno trovare questo compito di lettura, che è appunto "globale", più semplice da gestire rispetto a persone con una tendenza di tipo più "analitico, sequenziale, sistematico"

·      e, infine, sempre nell’ambito delle differenze individuali, le convinzioni, gli atteggiamenti, le motivazioni. Il nostro compito come lettori può essere facilitato se siamo convinti, ad esempio

o       che esistono diversi modi per leggere un testo;

o       che per certi scopi non è necessario capire ogni singola parola

    e se ci accostiamo al compito con atteggiamenti positivi, ad esempio,

o       se siamo disposti a tollerare l'ambiguità e l'ansietà derivanti dal non poter afferrare subito tutti i significati precisi

o       e se siamo disposti a essere flessibili e a cambiare strategia se necessario.

 

La competenza è dunque sì il risultato di un processo, ma i fattori di processo si “incarnano” e si integrano nella realizzazione stessa della competenza – con conseguenze importanti:

·      diventare più consapevoli dei propri fattori di processo non è un  “lusso”, qualcosa in più da fare in pochi momenti rubati a cose più importanti: è una condizione stessa per uno sviluppo ottimale ed efficiente delle competenze;

·      nello stesso tempo, la consapevolezza e la padronanza dei processi viene sempre più considerata essa stessa una competenza - si parla di metacompetenza – il saper apprendere.

 

In molti portfoli italiani e nelle relative guide per gli insegnanti compaiono strumenti per facilitare il lavoro sui processi: schede di scoperta dei propri stili di apprendimento, griglie di analisi delle strategie adottate, questionari per sondare le proprie convinzioni e atteggiamenti. Ma vengono utilizzati questi strumenti? E come? Che uso se ne fa? Soprattutto, si integrano nel lavoro quotidiano sui compiti o rimangono esperienze isolate? Sappiamo per certo che non è prassi comune integrare momenti metacognitivi, cioè di riflessione, verbalizzazione, socializzazione dei fattori di processo nelle normali attività didattiche.

 

E’ un po’ un paradosso – perché il valore aggiunto dell’approccio metacognitivo su cui poggia il portfolio è proprio questo – il partire dall’esperienza per arrivare, attraverso la riflessione, a una maggiore consapevolezza delle condizioni individuali di sviluppo della propria competenza.

 

 

La sfida dell’(auto)valutazione

 

"Autovalutazione vuol dire che dobbiamo darci noi il voto, senza prendere in giro la maestra e senza prenderci in giro da soli. E' una prova di sincerità ... Mica metti le crocette sulle faccine sorridenti solo per far piacere alla maestra! Non è che sei bugiardo, magari pensi di sapere quella cosa, invece non è vero. Le crocette servono al bambino per capire se sa le cose, non alla maestra: la maestra fa le verifiche"

 

Il commento di questa bambina sull’uso dei descrittori di competenza nella Biografia Linguistica (2) sembra cogliere in modo chiarissimo le sfide e le criticità dell’(auto)valutazione, in quanto processo guidato, sempre in bilico tra promozione dell’autonomia e offerta di supporti, e in quanto integrazione di auto-, etero- e co-valutazione.

 

Cosa comporta, in concreto, sapersi autovalutare? Intanto, diciamo subito che autovalutarsi significa compiere un'operazione squisitamente metacognitiva: significa andare al di là, oltre (meta-), prendere le distanze, oggettivare la propria esperienza, il proprio vissuto, e guardarlo come altro da sé. Questa operazione è nel contempo cognitiva e affettiva, perchè vedersi dall'esterno implica mettere in discussione la percezione soggettiva, auto-centrata, che di solito si ha di se stessi.

 

Per capire quale sfida rappresenti questo tipo di operazione, proviamo a porci per un momento nei panni di uno studente, e non necessariamente di un bambino o di un ragazzo, ma anche di un adulto, che sia messo di fronte ad un descrittore come "Quando scrivo, io sono in grado di esprimere la mia opinione riguardo a un tema su cui si è già discusso in classe". Se mi si chiede di scegliere tra: "Lo so /lo so fare con facilità", piuttosto che "Lo so/lo so fare anche se con qualche piccola difficoltà" o ancora "Non lo so/non lo so fare ancora in modo soddisfacente", se mi si chiede di mettere una crocetta accanto ad una di queste alternative, su che base decido?

 

Probabilmente ritorno con la mente alle esperienze che ho fatto di questo tipo - se ho fatto sufficienti esperienze concrete, se me le ricordo, se ricordo i risultati che ho avuto e le soddisfazioni o insoddisfazioni che ho provato, allora posso arrischiarmi a dare una risposta. Questo significa che in realtà quello su cui mi baso per autovalutarmi è una serie di concrete prestazioni passate e da queste deduco, cioè decido per inferenza, che possiedo o non possiedo quella competenza, che di per sé è invisibile. Ne discendono due importanti conseguenze:

·      in primo luogo, se abbiamo a che fare con competenze complesse, come sono quelle linguistico-comunicative, è ovvio che quante più saranno le prestazioni, tanto più sarà valida ed attendibile l'operazione di deduzione con cui decido che esiste la competenza. Dunque, come abbiamo già detto, l'autovalutazione non può farsi senza una preparazione molto graduale e ancorata al quotidiano. In altre parole, il momento della valutazione tende a spostarsi all’indietro, a diventare parte integrante dell’apprendimento, a qualificarsi come feedback di valutazione formativa e non solo sommativa;

·      in secondo luogo, per valutare o autovalutare competenze complesse in modo valido e attendibile non basta una prestazione unica, ma occorrono tanti momenti, tanti strumenti, tante modalità, tante testimonianze di prestazioni concrete e contestualizzate. In questo senso il portfolio può esprimere una delle sue potenzialità più importanti, e cioè il fatto di essere innanzitutto uno strumento di valutazione formativa autentica e continua.

 

Vediamo allora, per concludere, che cosa comporta, dal punto di vista concretamente didattico, graduare un percorso di sviluppo delle competenze di autovalutazione (6):

·      saper riconoscere le singole esperienze fatte nel corso di un segmento di apprendimento logico o temporale (ad esempio, un'unità di lavoro o un modulo, ma anche una mattina o una settimana) e ricordarne la sequenza. Ciò significa rendersi conto di aver fatto qualcosa, e isolare questo qualcosa dal flusso continuo dell'esperienza;

·        saper apprezzare in questo ricordo la propria reazione globale, cognitiva e affettiva (ad esempio, mi è piaciuto/non mi è piaciuto/mi ha lasciato indifferente);

·        saper gradualmente estrarre un significato dall'esperienza (che cosa vuol dire per me? Mi ha dato qualcosa? Mi ha cambiato?). Ricordiamo che l'apprendimento è di fatto un cambiamento rispetto ad una condizione precedente, dunque chiedersi se l'esperienza mi ha cambiato è equivalente a chiedersi se, che cosa e quanto ho imparato - cioè saper distinguere il nuovo dal vecchio;

·        saper articolare questo "nuovo" in termini di

o       quello che so di più o di diverso rispetto a prima: le nuove conoscenze (ad esempio, nuovi vocaboli)

o       quello che so fare o so fare meglio rispetto a prima (ad esempio, nuove abilità);

·        saper ripetere e collegare queste prestazioni in modo da confrontarle tra loro nel tempo e poterne quindi misurare il progresso. In molte griglie di autovalutazione, ad esempio, lo studente annerisce un cerchietto ogni volta che vuole esprimere un miglioramento rispetto al compito precedente, fino ad arrivare a cerchiare l’ultimo cerchietto quando riconosce la padronanza;

·        sapersi rapportare all'esterno, il che implica in primo luogo sapersi rapportare ad una serie di obiettivi da perseguire e standard di competenza, che vengono dichiarati esplicitamente. E’ il caso del confronto con le griglie di autovalutazione del passaporto delle lingue;

·        sapersi rapportare all'esterno implica anche saper confrontare il proprio giudizio con giudizi altrui (ad esempio, di compagni e insegnanti), apprezzandone l'eventuale scarto; e saper negoziare (con se stessi e con l'esterno) un eventuale nuovo giudizio.

 

L'autovalutazione deve però costituire un'esperienza "ecologica" per lo studente, cioè un momento formativo vissuto con positività in relazione a tutto il proprio "ambiente" personale, di vita e di apprendimento. Proviamo dunque a scandire come occorre porsi come persona globale per potersi autovalutare in modo "ecologico". Occorre a mio avviso:

·        saper accettare il giudizio sulla propria prestazione e il suo significato (non necessariamente positivo);

·        saper tollerare la valenza giudicante di questa operazione senza mettere in crisi la propria identità, il proprio concetto di sé, la propria autostima, il proprio senso di auto-efficacia - il che a sua volta implica

·        sapere accettare il giudizio sulla propria competenza, adottandone una concezione dinamica, cioè relativizzandola

o       nel tempo ("non sono ancora competente, ma posso esserlo o esserlo meglio in futuro")

o       nello spazio ("non sono stato competente in questa prova, ma lo sono (meglio) in altri contesti");

o       rispetto a diversi ambiti di competenza ("non sono tanto bravo nell'interagire oralmente ma lo sono di più nello scrivere"). 

In sintesi ciò equivale a saper gestire la propria percezione di competenza in modo positivo e realistico al contempo.

 

 

Conclusione

 

Per rilanciare le potenzialità del portfolio vorrei terminare con un forte richiamo ai valori-base di questo strumento. Vorrei farlo a tre diversi livelli di esplicitazione:

 

·      il Consiglio d’Europa ha riassunto questi valori in 5 principi: il portfolio come proprietà del discente, come messa a fuoco delle positività, come riconoscimento di tutti gli apprendimenti, come prospettiva per tutto il corso della vita, e come quadro condiviso di trasparenza e coerenza;

·      una scuola media con cui ho lavorato ha sintetizzato così questi principi:  “uno strumento che restituisce agli studenti unità, identità, orientamento e continuità di significati e di vissuti personali, recuperando questi valori rispetto all'inevitabile frammentazione delle esperienze a scuola e fuori dalla scuola” (4);

·      e infine, last but not least, forse le parole più illuminanti sono ancora una volta quelle di un bambino: "Secondo me questa pagina serve molto e magari ci aiuta a valutarci in tutte le cose della nostra vita" (2).

 

 

Riferimenti

 

(1) Council of Europe 2007. European Language Portfolio: Executive Summary. DGIV/EDU/LANG (2007) 1 rev. Language Policy Division, Strasbourg.

(2) Ufficio scolastico regionale per il Piemonte 2003. Portfolio Europeo delle Lingue. Un'esperienza piemontese, Torino.

(3) Cf. Mariani L, Tomai P. 2004. Il Portfolio delle Lingue. Metodologie, proposte, esperienze. Collana LEND/Scuolafacendo, Carocci, Roma.

(4) Istituto Comprensivo “Borsi” di Milano, in Mariani L., Madella S., D’Emidio Bianchi R., Istituto Comprensivo “Borsi” di Milano 2004. Il Portfolio a Scuola. Zanichelli, Bologna.

(5) Si veda il sito www.learningpaths.org

(6) Da Mariani et al., citato in Nota 4.

 

 

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