GESTIRE LA COMPLESSITA�: L�ESEMPIO DELLA MOTIVAZIONE AD APPRENDERE

 

 Luciano Mariani

 

Relazione tenuta al Convegno Dilit "Apprendimento linguistico e teoria della complessità"

Roma, 18-19 aprile 2008

 

Vorrei utilizzare la teoria dei sistemi complessi � o teoria del caos o della complessità � per esplorare alcuni aspetti della motivazione ad apprendere a scuola. E vorrei farlo utilizzando, una volta tanto, non solo degli studi teorici, ma anche, e direi soprattutto, la voce degli studenti. Di recente ho fatto una ricerca qualitativa sulla motivazione che ha coinvolto parecchie centinaia di ragazze e ragazzi delle scuole secondarie, e vorrei partire proprio dalla loro voce (1). Ad una domanda iniziale piuttosto generale, e cioè, �Che cosa ti spinge a impegnarti nello studio?�, guardate come hanno risposto questi ragazzi:

 

Un�esperienza particolare e positiva posso dire di viverla attualmente in questa classe grazie ai compagni e al rendimento scolastico. In particolar modo i compagni perché è grazie a loro che ogni mattina trovo la carica e la motivazione per alzarmi dal letto e venire a scuola, dove ogni giorno è una festa insieme a loro. (Barbara, 17 anni)

 

La voglia di essere felice. Non si può essere felice andando sempre male a scuola, prima per (forse) la presa di mira dei professori, poi per i rimproveri a casa � (Enrica, 15 anni)

 

Bisogna lavorare in un buon ambiente, instaurare rapporti con gli insegnanti e essere sostenuto e spronato in famiglia. (Mario, 17 anni)

 

Mi spinge a impegnarmi nello studio la consapevolezza che da adulto avrò bisogno di un buon lavoro e se sarò un lavoratore dipendente mi prenderanno solo se avrò un buon curriculum e una buona preparazione, in caso contrario dovrò accontentarmi di un lavoro più faticoso e meno retribuito perchè la concorrenza mi avrà superato. (Emilio, 15 anni)

  

Mi sembra che questi ragazzi ci confermino un�idea che penso tutti noi condividiamo, e cioè che la classe è innanzitutto un sistema complesso di relazioni tra persone - il che, in altre parole, significa che gli individui (compreso naturalmente l�insegnante) contribuiscono a creare un sistema più grande in cui interagiscono i sistemi dei singoli. E� un sistema che dovrebbe rispondere a bisogni personali profondi, ma anche un sistema che si interfaccia continuamente con altri sistemi, come la scuola nel suo complesso e la famiglia, e che si allarga ai sistemi più generali della comunità, del mercato del lavoro e della società. E allora anche la motivazione è un sistema complesso, multidimensionale, non solo psicologico -  nel senso che riguarda la personalità individuale e le dinamiche personali - ma anche socioculturale nel senso più ampio del termine. Notate che l�insegnante, che è pure un sistema individuale, occupa una posizione particolare al centro di questa rete, perché è lei o lui che media i rapporti, non solo tra le persone, ma anche tra le persone e gli apprendimenti, attraverso i compiti che realizza insieme ai suoi studenti.

Se accettiamo questa visione della motivazione come sistema, la teoria dei sistemi complessi può rivelarsi utile, soprattutto perché ci fornisce un insieme di metafore che io trovo illuminanti. Infatti questa teoria riconosce ai sistemi come quello che abbiamo appena descritto delle caratteristiche particolari. Intanto, riconosciamo subito che la motivazione è un sistema complesso, non lineare ed imprevedibile:

- è innanzitutto un sistema complesso, perché, come abbiamo visto, è fatto di tanti diversi elementi, anzi, di tanti diversi sotto-sistemi che sono in continua interazione;

- è un sistema non lineare, in cui, cioè, gli effetti non sono proporzionali alle cause. Sappiamo che un progetto accuratamente studiato può risultare alla fine meno motivante di una lezione in cui abbiamo dovuto improvvisare; così come sappiamo che un breve scambio verbale tra studente e insegnante può motivare di più di una sequenza di voti o di giudizi articolati;

- e infine, è un sistema imprevedibile, nel senso che non esiste una relazione diretta causa-effetto, per esempio tra quello che insegniamo e quello che viene imparato. �Perché gli studenti non imparano quello che gli insegnanti insegnano?�, si chiedeva già Allwright molti anni fa.

Detto in altro modo, la complessità del sistema fa saltare la relazione univoca e unidirezionale tra cause ed effetti, e la motivazione in quanto sistema tende perciò a svilupparsi secondo azioni e reazioni che non obbediscono a schemi rigidi e sequenziali. Sentiamo a questo proposito cosa dice Gisella:

 

Sì, all�inizio non mi piaceva latino, poi però facendo sempre i compiti ha incominciato a piacermi.  (Gisella, 16 anni)

 

Gisella ci ricorda che la motivazione è un sistema dinamico ed evolutivo. Non possiamo cioè misurare la motivazione e i fattori che la condizionano, in modo così accurato da poterne prevedere lo sviluppo. Ma proprio perché la motivazione è un sistema dinamico ed evolutivo può riservarci sorprese, degli �attesi imprevisti�:

 

La cosa che più mi meraviglia è che malgrado tutta la matematica che ho imparato a scuola, io abbia potuto conservare l�amore per la matematica.

 

Non è stato uno studente a dire questo ma � Albert Einstein!

Che la motivazione non sia un processo lineare è dimostrato ancora più chiaramente se prendiamo in esame la classica opposizione tra motivazione estrinseca e motivazione intrinseca.

Tutti noi teniamo alla motivazione intrinseca, il fare qualcosa per il gusto di farlo � però a scuola non si studiano solo cose interessanti, né si studia sempre in modi interessanti � c�è un elemento di costrizione che non si può dimenticare. Puntare solo, o principalmente, sulla motivazione intrinseca, significa anche implicitamente svalutare tutte le altre forme di motivazione. Ma è proprio così reale e netta la contrapposizione tra intrinseco e estrinseco? Che cosa effettivamente spinge i ragazzi a impegnarsi?

 

La mamma, la voglia di essere promossa, ricevere il cellulare, poter realizzare il sogno di diventare veterinaria. (Serena, 13 anni)

 

La soddisfazione di avere voti alti, conoscere cose che mi permettono di capire e apprezzare le cose che mi circondano. Finché vado bene a scuola posso impegnarmi anche in altre attività che mi piacciono (questo mi spinge ad impegnarmi nello studio, in modo da studiare per il minor tempo possibile). (Enrico, 17 anni)

 

Sinceramente studio e mi impegno di più quando so di avere uno scopo, per esempio andare in vacanza con le amiche. Ma pensandoci bene poi penso anche al mio futuro come sarà senza un titolo di studio. (Camilla, 15 anni)

 

Personalmente, mi impegno nello studio perché vorrei cambiare/rendere la mia vita diversa dagli altri. Nel senso avere un buon lavoro, una vita normale in futuro, e così nessuno mi tratterà male. (Emanuele, 15 anni)

 

In realtà la motivazione oscilla sempre sul continuum estrinseco-intrinseco � come ci dicono questi studenti, le persone sono motivate contemporaneamente da un insieme di fattori molto diversi, anche conflittuali, che interagiscono tra loro, e che si integrano a formare il profilo motivazionale di ognuno di noi, profilo che è assolutamente unico, e che cambia e si evolve in continuazione. E allora non è solo questione di opporre intrinseco a estrinseco e di considerare la motivazione intrinseca come l�unica o anche semplicemente la migliore: si tratta piuttosto di capire e apprezzare la miscela dei fattori coinvolti. Insomma, invece di chiederci Quanto sono motivato? dovremmo chiederci Come sono motivato?

Questa immagine della motivazione è quella che la teoria dei sistemi complessi definirebbe come dinamica, imprevedibile, ed estremamente sensibile a ogni piccola variazione dei contesti, tanto da poterla definire come caos. Ma allora è proprio tutto uguale, tutto si equivale sul nostro continuum estrinseco-intrinseco? Io credo che non sia proprio esattamente così. Se si osservano con cura le dinamiche di questo caos, se per esempio andiamo a vedere cosa succede a molti studenti nel corso del tempo, se chiediamo loro, per esempio, di ricordare qualche esperienza scolastica positiva, è possibile intravedere delle tendenze a una qualche forma di ordine. Facciamo parlare ancora una volta gli studenti:

 

Mi sento motivata in quelle materie o in quei progetti in cui non basta studiare, ma in cui bisogna saper usare la propria testa e la propria creatività, magari collaborando con altre persone. Insomma in attività che combinano discipline diverse ed esperienze personali. (Mara, 17 anni)

 

Un bel ricordo mi è rimasto dagli stage dell�anno scorso all�Hotel. Lavoravo in cucina alle preparazioni fredde e la cosa che mi piaceva di più è che vedevo tutte le guarnizioni che facevano e sono riuscito a memorizzare cose che tuttora faccio a casa quando ci sono ospiti a pranzo. (Vittorio, 17 anni)

 

Mi è piaciuto fare un lavoro di inglese su un autore americano perché, partendo da un libro letto in classe, dovevamo fare una specie di lezione per spiegare a coloro che non avevano letto il libro perché il libro in questione era tanto importante. Mi è piaciuto farlo perchè ho potuto dimostrare che sono in grado di spiegarmi in un modo semplice ma esauriente senza l�aiuto di un professore o di un compagno. (Lorenzo, 18 anni)

 

Mi sento motivata � quando si mette in pratica ciò che si è studiato solo teoricamente, e facendo esercizi in classe, guidati dall�insegnante, in modo da poter poi accorgersi se quell�esercizio saremmo stati in grado di svolgerlo altrettanto bene da soli. (Roberta, 17 anni)

 

Dalle parole di questi studenti non emerge l�idea della motivazione come caos incontrollato, ma piuttosto l�idea di esperienze complesse che incorporano, come dire, alcuni principi ispiratori importanti. E� come se queste esperienze ruotassero attorno a quelli che la teoria dei sistemi complessi definirebbe punti di attrazione: emergono cioè dei fattori che tendono a far progredire le persone su almeno tre assi tra loro integrati:

- l�asse dell�autonomia: cioè la percezione di prendere decisioni e di assumere comportamenti sempre meno dipendenti da controlli esterni e sempre più autodeterminati: Lorenzo, ad esempio, dice; �� senza l�aiuto di un professore o di un compagno�, e Roberta, �� in modo da poter poi accorgersi se quell�esercizio saremmo stati in grado di svolgerlo altrettanto bene da soli�;

l�asse della competenza: cioè la percezione di poter eseguire dei compiti grazie all�aumento delle proprie capacità � in altre parole, il senso di auto-efficacia: è quello che dice lo stesso Lorenzo: �� ho potuto dimostrare che sono in grado di spiegarmi in un modo semplice ma esauriente�; e Vittorio, �� sono riuscito a memorizzare cose che tuttora faccio a casa�;

- l�asse della relazionalità: cioè la percezione di entrare sempre più in relazioni interpersonali in cui le proprie decisioni e i propri comportamenti si coordinano sempre più strettamente con quelli di altri: è la dimensione collaborativa e di responsabilizzazione verso altri, che è centrale nelle testimonianze di molti di questi studenti.

Dunque la motivazione non è soltanto un sistema caotico, nel senso che comporta stati e periodi di casualità, di irregolarità, di imprevedibilità; è anche un sistema che può mostrare delle strutture coerenti anche all�interno di questa apparente casualità: la teoria dei sistemi complessi lo descrive come sistema capace di auto-organizzarsi. In altre parole, a certe condizioni, quando certi fattori interagiscono, può emergere una struttura o uno schema che fino a quel momento non si era manifestato. Ovviamente tutto dipende da quelle �certe condizioni�, che nelle esperienze citate dai nostri studenti si sono realizzate: sono quelle condizioni, nei compiti di apprendimento e nelle relazioni interpersonali, che hanno permesso l�emergere di strutture di autonomia, competenza e relazionalità.

Certo, per l�insegnante non è facile concepire il caos come un ordine senza prevedibilità: siamo come degli equilibristi, sempre in bilico tra ordine statico, da una parte, e caos dall�altra.

Mantenersi in questo equilibrio sempre precario, sempre pericoloso, è una metafora per dire che dobbiamo abituarci a gestire una zona intermedia tra ordine statico e caos: la zona della complessità. Navigare in questa zona non è facile: come dice Edgar Morin, abbiamo bisogno di �apprendere a navigare in un oceano d�incertezze attraverso arcipelaghi di certezza� � isole di rassicurazione che ci aiutino a tollerare l�ambiguità. In altre parole, è necessario un nuovo paradigma, in cui dalla razionalità assoluta (�trovare ogni volta la soluzione migliore in assoluto�) si passi ad una razionalità limitata (�trovare la situazione più soddisfacente nelle condizioni date�).

La teoria dei sistemi complessi può ancora illuminarci in proposito. Gestire la complessità, infatti, significa puntare su altre caratteristiche cruciali di un sistema, e cioè il fatto che un sistema complesso come la motivazione è aperto, sensibile al feedback e adattativo:

- è un sistema aperto perché può ricevere continuamente nuovo input, cioè nuova energia dalla rete di relazioni in cui è inserito;

- è un sistema sensibile al feedback perché può utilizzare le informazioni di ritorno sul suo funzionamento (appunto il feedback) per riaggiustarsi;

- ed è un sistema adattativo perché può utilizzare ogni cambiamento nell�ambiente di apprendimento per evolversi, ottimizzarsi, rispondere in maniera efficace.

Sulla base di queste caratteristiche dei sistemi complessi, possiamo uscire dalla contrapposizione netta tra ordine e caos, da questo dilemma secco e improduttivo, e adottare invece l�idea di un paesaggio � un paesaggio in cui convivono momenti di ordine statico, di complessità e di caos.

Se adottiamo questa visione, le nostre prassi didattiche possono essere ripensate in funzione della posizione che occupano in questo paesaggio. Facciamo qualche esempio.

Pensiamo alla struttura ripetitiva di una lezione o di un�unità, che prevede una successione sempre uguale di fasi o di attività, cioè una routine: può essere considerata, dal nostro punto di vista, come rappresentativa di un ordine statico (con ciò non vogliamo necessariamente dare un giudizio di valore, cioè dire che è inutile o dannosa: una struttura di attività familiare, cioè riconoscibile dagli studenti, ha naturalmente i suoi vantaggi). All�estremo opposto, lezioni che siano sempre all�insegna della novità possono essere considerate, sempre dal nostro punto di vista, come caos, se gli studenti non sono in grado di gestirle. E� nella zona intermedia della complessità che noi tendiamo a indirizzare i nostri sforzi, per assicurarci che le nostre attività abbiano in sé elementi di curiosità, di originalità, di sorpresa, ma all�interno di un contenitore che dia sicurezza e fiducia, ai nostri studenti come a noi stessi.

Ancora una volta è pertinente la metafora dell�insegnante equilibrista: in fondo, la motivazione deriva da un equilibrio, non facile da attuare e ancora più difficile da mantenere, tra sfida e sostegno. Siamo sempre in bilico tra la necessità di fornire sfide adeguate e la necessità di fornire sostegni altrettanto adeguati. E� quello che anche i nostri studenti hanno intuito: quando Roberta dice:

 

�� facendo esercizi in classe, guidati dall�insegnante, in modo da poter poi accorgersi se quell�esercizio saremmo stati in grado di svolgerlo altrettanto bene da soli�

 

ci sta ricordando quello che Vygotsky, Bruner e tanti altri ci ripetono da decenni: il livello di difficoltà e il livello di facilitazione dei compiti sono cruciali per la motivazione. Trovare momento per momento il giusto equilibrio tra sfida e sostegno significa anche tenersi in bilico tra facilitazione e autonomia. Non è un compito semplice, ma non è solo l�insegnante che è in bilico sulla corda � sono gli stessi studenti, e qualcuno se ne rende conto:

 

Per esempio, in questo periodo, a gruppi, dobbiamo esporre e spiegare ai nostri compagni argomenti che dobbiamo studiare e capire a casa. Credo che questo sia utile e dia prova di grande maturità (per chi ci riesce) (Andrea, 14 anni)

 

Ecco, è quell�inciso tra parentesi (�per chi ci riesce�) che mi inquieta. Non conosco personalmente Andrea, ma mi sembra che ci voglia dire proprio questo: che è difficile crescere e maturare, che si ha bisogno di un sostegno, di un ponteggio che va gradualmente tolto, e che questo non è facile per tutti allo stesso modo. E in questo sta la grande difficoltà, ma anche la grande sfida, di gestire questa zona intermedia di sviluppo che è la zona della complessità.

Vorrei fare un altro esempio, che riguarda il valore motivante (o demotivante!) della valutazione. Una valutazione basata sulla norma, cioè sulla media delle prestazioni della classe, può essere considerata rappresentativa di un ordine statico: sulla base di criteri di questo tipo ci saranno sempre vincitori (quelli che stanno sopra la media) e vinti (quelli che stanno sotto la media). All�estremo opposto nel nostro paesaggio, l�assenza di valutazione o una valutazione dai criteri confusi o non esplicitati può essere considerata, sempre dal punto di vista che stiamo adottando, come caos. Notate cosa dicono in proposito questi due studenti:

 

Le lezioni dovrebbero coinvolgere lo studente, non essere frettolose. I risultati delle prove dovrebbero essere chiari e ci dovrebbe essere uno spazio dopo le prove per discutere gli errori e il modo di migliorarsi (cosa che manca sempre). (Maurizio, 18 anni)

 

La cosa dava anche soddisfazioni perché il professore ritirava i resoconti e poi essi venivano confrontati in classe e per ciascuno vi erano critiche costruttive oltre a complimenti e a piccoli bonus sui voti. (Donato, 16 anni)

 

Quello che Maurizio e Donato sembrano auspicare è una valutazione basata su criteri chiari, cioè condivisi tra insegnanti e studenti, e, diremmo noi, basata su descrittori di competenza: criteri e descrittori che vanno costruiti insieme agli studenti, in modo che insieme si possa decidere in che cosa consiste una buona prestazione in un�attività comunicativa. In questo modo noi costruiamo delle griglie di criteri che servono, non solo da punti di riferimento per un giudizio finale al termine dei compiti, ma anche da guide procedurali che aiutano gli studenti prima e durante l�esecuzione dei compiti. Un itinerario di lavoro come questo comporta un�interazione in classe, un�apertura al confronto, una condivisione di ruoli oltre che di idee: siamo di nuovo nella zona della complessità.

Tutto questo ci sta portando ben oltre la valutazione sommativa � in realtà, stiamo parlando di una valutazione che è anche formativa, perché aiuta lo studente a valutare non solo il prodotto finale, ma anche il percorso che segue per arrivare a quel prodotto. E ciò che aiuta a monitorare il proprio percorso è proprio il feedback, le informazioni di ritorno che è possibile ottenere, oltre che dall�insegnante, da se stessi e dai compagni: in altre parole, si apre la strada ad un intreccio di valutazione esterna, di auto-valutazione e di co-valutazione.

E� proprio in questo senso che possiamo affermare, ancora una volta che la motivazione è un sistema aperto e sensibile al feedback.

Vorrei portare un ultimo esempio, quello delle attribuzioni causali, e cioè della percezione che le persone hanno delle cause dei propri successi e dei propri fallimenti � un aspetto cruciale della motivazione ad apprendere. Sentiamo in proposito, ancora una volta, la voce degli studenti:

 

Sicuramente al primissimo posto c�è la �fortuna� di avere un buon insegnante! O ci sono quelli incompetenti, o quelli che esercitano �tirannie�! Tutto dipende da come è l�insegnante, l�ho notato dai miei risultati scolastici! (Patrizia, 17 anni)

 

Un giorno la professoressa era di buon umore e non ha tenuto conto di alcuni errori nell�esposizione dell�argomento trattato. (Massimo, 16 anni)

 

La fortuna è un�illusione fallace, anche se incide sull�esito delle cose; occorre ottimizzare la preparazione, i risultati vengono da soli, come i funghi. (Giancarlo, 16 anni)

 

Alcune verifiche sono basate soprattutto sulle capacità personali dove l�impegno nello studio conta poco. (Marta, 17 anni)

 

Intelligenza e capacità personali influenzano il metodo di studio e l�interesse, perché una persona, pur impegnandosi, ma non intelligente, non può ottenere buoni risultati. (Tiziano, 16 anni)

  

E� abbastanza ovvio che se si considera la fortuna come fattore primario, si opta per un�attribuzione, oltre che ovviamente instabile, anche esterna, cioè indipendente da sé; mentre se si dà importanza allo sforzo, cioè all�impegno, si opta per un�attribuzione sempre instabile (perché ci si più impegnare più o meno, oggi sì e domani no), ma interna, cioè legata alle proprie possibili scelte.

Spesso studenti e insegnanti tendono ad optare per attribuzioni molto rigide: per esempio, è facile sentir dire, �tutto dipende dall�impegno� oppure, �non è portata per le lingue�. Questo tipo di convinzioni appartengono, nel nostro paesaggio, alla zona dell�ordine statico: per esempio, se io sono convinto di non essere molto intelligente, o di non avere una buona attitudine per le lingue, tutto ciò limita per forza di cose il senso della mia autoefficacia; e se magari sono anche convinto che intelligenza e capacità siano fattori innati e immutabili, è chiaro che mi sentirò ancora più ingabbiato in un mio �io� che è geneticamente predestinato.

Ma consideriamo l�estremo opposto nel nostro paesaggio: se non mi rendo conto delle mie attribuzioni causali, o se ne ho un'immagine confusa e che varia in continuazione, senza che io possa avere la possibilità di esplicitarla o discuterla, allora tendo a situarmi nella zona del caos. E� solo quando entro nella zona della complessità che mi costringo a prendere in considerazione i vari fattori che condizionano i miei successi e i miei fallimenti � allora, è di nuovo il feedback che deriva dai miei comportamenti, dai miei risultati e dalle interazioni con i miei compagni e con i miei insegnanti che mi apro la possibilità di riesaminare e magari rimodellare le mie attribuzioni.

In definitiva, noi vorremmo portare i nostri studenti ad attribuire il proprio successo ad una combinazione di abilità e di sforzo ragionevole: vorremmo che pensassero di affrontare dei compiti che rientrano nelle loro capacità, ma che richiedono un impegno possibile ma non eccezionale. E infine, vorremmo che il loro insuccesso venisse attribuito, oltre che magari ad un livello di impegno insufficiente, magari anche a strategie insufficienti o non adeguate al compito specifico (si badi bene, strategie di apprendimento per un compito specifico, non abilità personali in generale). Ma per ottenere questo non ci sono scorciatoie: dobbiamo monitorare da vicino il valore motivante dei compiti e prevedere momenti di riflessione e di condivisione dei processi e delle esperienze: in altre parole, dobbiamo percorrere, ancora una volta, la strada della complessità.

Non vorrei terminare questo mio contributo con la sensazione che stia rendendo ancora più duro un lavoro, come quello dell'insegnante, che è già spesso al limite del sopportabile. Mi viene in aiuto, per finire invece su una nota di ottimismo e di speranza, ancora una volta la teoria dei sistemi complessi. Abbiamo detto che un sistema come quello della motivazione, in quanto sistema complesso, è sensibile a ogni piccola variazione dei contesti. Questo significa che i dettagli sono importanti, che una piccola cosa può produrre cambiamenti inaspettati e imprevedibili: come si dice spesso parlando della teoria del caos, una farfalla che batte le ali in Brasile può provocare un tornado nel Texas, oppure, un sassolino che si muove può provocare una valanga, oppure ancora, un�ultima pagliuzza appoggiata su un cammello già stracarico gli può rompere la schiena � Non sottovalutiamo l�importanza delle piccole cose: un commento su un lavoro di uno studente, una scheda di autovalutazione, cinque minuti passati a ragionare sulle proprie strategie � ogni piccolo sforzo può essere significativo. Senza per questo perdere di vista il tutto, senza per questo dimenticare la complessità dell�insieme: come dice uno slogan ambientalista:

Io credo che per gli insegnanti teorie come quella dei sistemi complessi abbiano soprattutto il valore di un insieme di metafore potenti, che possono aiutarci a gestire con più consapevolezza i mille fenomeni che ogni giorno in classe ci sorprendono, ci addolorano, ci allietano. In fondo, come ci ricorda Proust:

 

Nota

(1) Le citazioni degli studenti sono tratte da Mariani L., La motivazione a scuola. Prospettive teoriche e interventi strategici. Carocci, Roma, 2006. Si veda anche in questo sito la sezione Motivazione . Torna al testo

 

Proposte bibliografiche: la motivazione ad apprendere

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McCOMBS B.L., POPE J.E. (1996). Come motivare gli alunni difficili, Erickson, Trento.

MARIANI L. (2006). La motivazione a scuola. Prospettive teoriche e interventi strategici. Carocci, Roma.

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